Titolo: Operazione Ogro
Sottotitolo: Come e perché abbiamo ucciso Carrero Blanco
Data: 2009
Note: Da “Anarchismo” n. 3, 1975, pp. 154-173
Prima edizione in volume: 2009
Opuscoli provvisori n. 11
SKU: opuscoli-000011
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Nota introduttiva

Il 20 dicembre 1973 l’ammiraglio spagnolo Luis Carrero Blanco, numero due del regime falangista, è fatto saltare in aria dall’ETA.

Il testo che segue, pubblicato dalla rivista “Anarchismo” nel 1975, cerca di riproporre l’azione nella sua essenzialità organizzativa e con la massima obiettività possibile.

Trattandosi di un argomento che ha affascinato molti compagni, e che ha visto l’attività mistificatrice di cineasti e mestieranti vari, non ci è sembrato inutile rimettere a posto le cose.

Eva Forest firmò il libro pubblicato nel 1974 da Ruedo Iberico con uno pseudonomo (Julen Agirre) perché usciva da tre anni di prigionia nelle galere franchiste e non poteva in quel momento correre altri rischi.

Speriamo che questi fatti si possano finalmente leggere con una certa distanza critica e che non si cada nell’equivoco di fruirne come di un qualsiasi racconto poliziesco.

* * * * *

Carrero Blanco aveva un sogno: volare.
Un giorno l’ETA rese il suo sogno una grande realtà.
Soak

La seguente intervista è un estratto di quanto pubblicato da Julen Agirre (Eva Forest) riguardante gli incontri avuti con il Commando Txikia dell’E.T.A. (Euskadi Ta Askatasuna) autore dell’uccisione di Carrero Blanco, Presidente del governo spagnolo sotto la dittatura franchista, nel corso dei quali è stato possibile chiarire le motivazioni ideologiche e l’organizzazione tecnica dell’attentato. Il testo integrale è stato pubblicato da Ruedo Iberico (Paris 1974). In quest’estratto abbiamo tralasciato l’esame dei motivi ideologici dell’azione, esame ben sviluppato nei documenti allegati, redatti dallo stesso commando.

L’operazione Ogro

Come sorse l’idea dell’esecuzione di Carrero Blanco?

Molto semplicemente. All’organizzazione giunse la notizia che Carrero andava tutti i giorni a messa alle nove in una chiesa dei gesuiti in via Serrano. In un primo tempo venne considerata un’informazione come tutte le altre, poi si decise di verificare la cosa inviando un militante. Si analizzò poi il problema: Carrero era l’uomo del regime che per anni aveva preparato la continuazione del franchismo, l’uomo che garantiva questa continuità. Insomma la persona adatta per un sequestro con cui ottenere la liberazione dei prigionieri.


Sulle prime pensavate ad un sequestro?

Sì. Fu la prima idea dell’organizzazione. Sai bene che dopo il processo di Burgos si era cercato spesso di tirare fuori dal carcere i prigionieri. Per questo si pensò a Carrero Blanco come alla persona idonea.


La preoccupazione di liberare i prigionieri è una costante della organizzazione?

Molte informazioni, molte possibilità, molte intenzioni, ma non pensiamo che per adesso possiamo fare molto.


L’informazione venne da un militante o da un simpatizzante?

Ciò può dirlo l’organizzazione, noi possiamo limitarci a dire che conoscevamo il fatto. A Madrid come in altre città spagnole abbiamo degli osservatori.


Si dice che i Baschi aiutano molto.

Questo è relativo. Vi sono baschi rivoluzionari che aiutano e altri no. Ad andare a Madrid fummo in due. Come nel resto dello Stato spagnolo non abbiamo gente di organizzazioni spagnole disposte ad aiutarci in un’azione armata. L’esperienza che abbiamo è che quando un’organizzazione prende contatto chiede di firmare congiuntamente con noi per l’appoggio e il risalto politico che può significare firmare con l’ETA un qualche manifesto, più che con l’intenzione di collaborare per distruggere lo Stato spagnolo.


Conoscevate Madrid?

Qualcuno, come me, sì, altri no. Io c’ero stato una volta sola molto tempo fa. Mikel no. L’indomani del nostro arrivo nella guida telefonica cercammo il domicilio dell’Ogro. Viveva in via Hermanos Bécquer, credo al n. 6. Sembrava impossibile che fosse così facile, una personalità così... Vedemmo anche la Chiesa, grande, un vero e proprio tempio dei gesuiti. Andammo alle nove, l’orario della messa, ma Carrero non veniva, poi apparve accompagnato da un signore di circa settant’anni, dall’aspetto molto vecchio, capelli bianchi, piccolo...


Conoscevate tutti Carrero?

Lo avevamo visto in fotografia nei periodici. Avevamo una foto in primo piano. L’informazione diceva che andava a messa da solo. Infatti l’accompagnatore rientrò nella vettura, dove si trovava un altro con una cartella. Il giorno seguente andammo un’altra volta e lo vedemmo arrivare in una Dodge nera.


Era facile l’osservazione?

Sì, fuori vi erano molte fermate di autobus. Una di fronte all’Ambasciata Americana, una in via Hermanos Bécquer e una in via Serrano. Il giorno seguente si ripeté la scena: Carrero restava solo in chiesa mentre ci accorgemmo che la Dodge era seguita da una Morris di colore rosso. Poi l’Ogro, con il signore della cartella, rientrava nella Dodge.


Perché lo chiamavate con questo appellativo?

Per la faccia brutale che aveva, sopracciglia foltissime, peloso. Da ciò il titolo dato all’operazione.


Quanto tempo restaste?

Poco. Ci rendemmo conto del tragitto obbligato che doveva fare l’auto a causa dei sensi unici, comprammo una carta di Madrid e completammo lo studio della zona.


Quale analisi aveva fatto l’organizzazione?

L’obiettivo dell’azione era di fare uscire dal carcere i militanti di ETA (più di 150) condannati a pene superiori a dieci anni. Naturalmente quello che avremmo chiesto sarebbe stata la libertà di tutti i prigionieri politici che si trovavano nello Stato spagnolo indipendentemente se Baschi o no, con pene superiori a dieci anni. In questo senso il sequestro aveva delle possibilità. Se si riusciva nello scambio, a parte la quantità di prigionieri che si tirava fuori di prigione, si otteneva una vittoria più grande per la serie di conseguenze che si sarebbero scatenate. Tutto ciò non si poteva prevedere chiaramente ma la cosa avrebbe portato lo stesso Carrero a radicalizzare la situazione, rompendo l’equilibrio e creando un conflitto più grande all’interno del Regime.


Qual era la zona?

Quartiere di Salamanca, gente per bene, ambasciate... e la chiesa. Questa era grande, alta, molto larga, con tre navate e dava sulla via Serrano. Il sequestro era stato previsto dentro la chiesa. All’azione avrebbero dovuto collaborare altri commando che sarebbero arrivati all’ultimo momento per dare un aiuto.


Quanto tempo calcolavate sarebbe durata l’azione?

Uno o due minuti. Non doveva essere una cosa tanto brusca per evitare la reazione della gente. Più un minuto per la ritirata.


Contavate sulla reazione della gente?

Sì, ma non molto, si contava più sul fattore sorpresa. La gente in generale non si muove, per l’istinto della conservazione, ma può diventare isterica per la paura. Gli altri problemi erano stati risolti: il rifugio dove nasconderlo, il tempo da dare al Governo (48 ore), dove inviare i prigionieri liberati sarebbe stato un problema del Governo stesso, se gli interessava lo scambio.


Perché non si poté realizzare questa azione così com’era stata studiata?

Per un contrattempo. Si aveva tutto: l’ospedale, la casa dove andare appena usciti dalla chiesa, la casa per il commando che avrebbe custodito l’Ogro, le due case intermedie, le vetture, tutto meno il posto dove tenere l’Ogro perché accadde un incidente. Quando avevamo anche le chiavi di questo appartamento, un gruppo di giovani, un quindicina, entrarono, pensando di rubare qualcosa, trattandosi di un posto appartato. Il giorno dopo, si cercò di avvicinarli, ma quelli si spaventarono, qualcuno tirò un colpo d’arma da fuoco: in una parola un parapiglia nel quartiere... uscirono tutti i vicini che compresero si stava commettendo un furto. Fu avvertita la proprietaria... Questa venne con il fratello e al parlare di Mikel questi disse: “Ma voi siete basco, guarda un poco, amico, io ho la mia famiglia a San Sebastian”. “No, guarda che io non sono basco, ma valenziano – secondo come figurava nel contratto”. “Nessuno lo direbbe, sembrate basco, come quelli di San Sebastian”. In definitiva tutto ciò ci convinse a desistere.


Quando rinunciaste al sequestro come vi regolaste con tutta l’infrastruttura?

Passammo tutta la prima quindicina di novembre, mentre studiavamo la possibilità di esecuzione, visitando ed annullando tutti i contratti. Tutti si comportarono molto bene, tranne la vedova della casa dove si doveva custodire l’Ogro ci negò la restituzione dei due mesi di deposito.


Il problema della ritirata?

Bisognava decidere il tragitto nello Stato spagnolo, sarebbe venuto un militante del servizio informazione, per controllare i movimenti della polizia. Perciò comprammo una Austin 1300 di seconda mano con un documento falso. Così rastrellando la zona con l’auto vedemmo che in via Coello c’erano dei seminterrati. Decidemmo per quello al n. 104. Era il 10 o il 12 di novembre.


Qual era il percorso effettuato ogni giorno dall’Ogro a causa dei sensi unici?

Via Hermanos Bécquer, usciva da casa e l’auto prendeva a destra, via Lopez de Hoyos, via Serrano, dove c’è la chiesa di S. Francesco de Borja. Poi uscito dalla chiesa prendeva a sinistra, completava la via Serrano, ancora a sinistra, via Juan Bravo, ancora a sinistra, via Claudio Coello, ancora a sinistra, via Diego de Leon e rientrava in via Bécquer.


Qual era la situazione interna del locale seminterrato?

Era di 6 metri per 3,5, con una camera grande, una piccola, una cucina e un W.C., con una finestra nel W.C., un pianerottolo e una finestra che dava su via Coello, situata a destra entrando dalla porta. Il pianerottolo, invece, era di fronte alla porta.


Il seminterrato era profondo?

No. Una profondità di un metro e settanta. Cominciammo gli scavi a livello del pavimento. Avevamo calcolato di rompere il muro di base l’indomani, ma questo fu tremendo. Si lavorava a turni di venti minuti ciascuno, perché di più non si poteva fare. Poi era terra umida, per le infiltrazioni di acqua e gas. Non ci furono vere e proprie fughe, ma un cattivo odore che ci impediva di aprire la finestra.


E l’esplosivo?

Il 15 di dicembre andai a prenderlo. Non ci furono seccature nel trasporto. Si utilizzò l’auto. Andava perfettamente nel cofano dell’auto, il peso era di circa 80 chili.


Come entraste nel seminterrato?

Semplice, di notte, tra la chiusura della portineria e il primo giro della guardia notturna. Si trattava di Goma 2, un esplosivo industriale molto forte. La cosa più difficile fu metterlo nel tunnel perché questo era molto stretto.


Come fu ideato il sistema di esplosione?

Si aveva la T che era la galleria, si collocarono tre cariche nei bracci della T, due ai lati e la terza nel mezzo. I bracci della T corrispondevano più o meno al centro della strada.


Tra voi c’era qualche tecnico in esplosivi?

Tecnici specializzati no. Però avevamo una certa pratica, la stessa che possiede ogni militante che lavora sul fronte della lotta armata, o un poco di più... Comunque questa operazione non esigeva molte complicazioni tecniche.


Di quanto erano le pile?

Di uno e mezzo, però unite in due. Si provarono presso il compratore e si vide che la corrente passava. Si collocarono nel cavo che passava vicino alla finestra. Mentre si terminava la connessione elettrica si collocò l’Austin davanti l’altro lato della strada in faccia al seminterrato per costringere l’auto dell’Ogro a passare per il centro della carreggiata. Poi lo si seguì fino in chiesa. Mentre era in chiesa, noi eravamo tutti pronti, si verificò la connessione con la batteria. Poi si vide apparire l’auto in via Juan Bravo, veniva avanti adagio. All’altezza di via Maldonado rallentò ancora perché passava una signora con una bambina. Poi, sempre molto lentamente arrivò all’altezza fissata... ciò che uno sente in un momento come questo non si può immaginare... Giunta l’auto all’altezza della nostra automobile... Ora! Non si vide la vettura ma la si vide che volava. Un sordo rumore. Noi cominciammo a gridare: gas, gas! secondo come avevamo stabilito prima, per dare l’impressione che si trattasse di una esplosione di gas dalla conduttura. Ci mettemmo in macchina e lentamente ci allontanammo: i nostri compagni erano stati vendicati.

Julien Agirre

I quattro comunicati dell’ETA

Comunicato n.1

L’organizzazione rivoluzionaria socialista basca di liberazione nazionale Euskadi Ta Askatasuna (ETA) assume la responsabilità dell’attentato che oggi, giovedì 20 dicembre 1973, ha causato la morte del Sig. Luis Carrero Blanco, Presidente dell’attuale Governo spagnolo.

Nel corso della lotta, in Euskadi Sur e nel resto dello Stato spagnolo, la repressione ha dimostrato chiaramente il proprio carattere fascista detenendo, incarcerando, torturando e assassinando coloro che combattono per la libertà del popolo.

In poco tempo le criminali forze fasciste al servizio della gran borghesia spagnola, hanno assassinato nove nostri compagni: “Txabi, Txapela, Xanki, Mikelon, Iharra, Twikia, Jon, Beltza e Josu”, oltre ad altri militanti e patrioti baschi per il semplice fatto di difendere i più elementari diritti.

L’operazione che l’ETA ha realizzato contro l’apparato di potere dell’oligarchia spagnola nella persona di Luis Carrero Blanco, deve interpretarsi come una giusta risposta rivoluzionaria della classe lavoratrice e di tutto il popolo basco alla morte dei nostri nove compagni e di tutti coloro che hanno contribuito e contribuiscono alla realizzazione di un’umanità definitivamente liberata da ogni sfruttamento e oppressione.

Luis Carrero Blanco, uomo “duro” e violento nell’organizzazione della repressione, costituiva la pietra fondamentale che garantiva la continuità e il rafforzamento del regime franchista; essendo certo che senza di lui le tensioni nel senso del potere tra le diverse tendenze interne al regime franchista del Generale Franco (Opus Dei, Falange ecc.) si acuiranno pericolosamente.

Perciò riteniamo che la nostra azione contro il Presidente del Governo spagnolo, significherà senza dubbio un progresso fondamentale nella lotta contro l’oppressione nazionale e per il socialismo in Euskadi e per la libertà di tutti gli sfruttati e oppressi dentro lo Stato spagnolo.

Oggi i lavoratori di tutto il popolo di Euskadi, Spagna, Catalogna e Galizia, tutti i democratici, rivoluzionari e antifascisti del mondo, si sono liberati di un importante nemico. La lotta continua.

Avanti per la liberazione nazionale e per il socialismo! Gora Euskadi Askatasuna! Gora Euskadi Sozialista!

Euskadi Ta Askatasuna E.T.A.

Comunicato n. 2

Euskadi Ta Askatasuna (ETA) riconferma l’assunzione totale della responsabilità dell’esecuzione del Sig. Luis Carrero Blanco.

Il commando “Txikia”, autore materiale dell’azione, si trova in questo momento perfettamente bene in luogo sicuro.

L’esecuzione del Sig. Luis Carrero Blanco è stata la giusta risposta all’ondata di violenza scatenata dal Governo contro il popolo Basco in conseguenza della quale nove militanti hanno perduto la vita.

Smentiamo categoricamente le dichiarazioni di organizzazioni o persone estranee all’ETA (Sig. Leizaola, presidente del Governo Basco, Comitato centrale del Partito Comunista spagnolo) che cercano di negare la nostra responsabilità nell’esecuzione del Sig. Luis Carrero Blanco. Tale posizione riflette, a nostro avviso, una grave mancanza di pudore politico, incomprensibile in coloro che si definiscono leaders dell’opposizione al Regime franchista.

Siamo fermamente decisi a continuare nella stessa linea di azione se la repressione continuerà a sfruttare i nostri lavoratori e il nostro popolo. Colpiremo ancora il potere fascista nelle persone, luoghi e momenti che riterremo più conveniente.

Gora Euskadi Askatasuna! Gora Euskadi Sozialista!

Euskadi, 22 dicembre 1973
E.T.A. (Euskadi Ta Askatasuna)

Comunicato n. 3

Diversi giornali europei hanno pubblicato dichiarazioni di un supposto militante dell’ETA, tra le quali: “Se toccheranno un solo capello ad un rifugiato, prima di un mese si avranno mille morti a Madrid. Siamo pronti a tutto, anche a far saltare la metropolitana, se occorre”.

Tale dichiarazione attribuita ad un “responsabile militare del movimento”, non può venire che da un provocatore o dall’immaginazione di qualche giornalista. Ci rammarichiamo profondamente che alcuni gruppi – autoconsiderantisi rivoluzionari e antifascisti – attraverso il loro organi di informazione, abbiano creduto opportuno appropriarsi di questa dichiarazione per screditare la causa del popolo basco, pur sapendo bene quali sono i nostri fini e i nostri mezzi.

Siamo rivoluzionari baschi, non terroristi assassini, distinguiamo tra amici e nemici. Tra questi ultimi guardiamo solo ai grandi capitalisti spagnoli con tutto il loro apparato di potere fascista. Nella nostra lotta per l’Indipendenza e il Socialismo in Euskadi, consideriamo come alleati tutti i lavoratori e il popolo spagnolo.

Perciò riteniamo che le dichiarazioni suddette e l’attitudine di utilizzarle non possono che turbare la collaborazione tra tutti coloro che combattono contro il regime franchista per la libertà del popolo.

Gora Euskadi Askatasuna! Gora Euskadi Sozialista!

Euskadi, 26 dicembre 1973
E.T.A. (Euskadi Ta Askatasuna)

Comunicato n. 4

I giornali spagnoli al servizio del governo franchista hanno iniziato una nuova campagna propagandistica a seguito dell’esecuzione di Carrero Blanco.

Come in altre occasioni, lo Stato spagnolo tenta di porre in rapporto la nostra attività rivoluzionaria – esercitata in Euskadi Sur o nel resto del territorio spagnolo – con i rifugiati baschi che beneficiano dell’asilo politico in Euskadi Norte o nel congiunto Stato francese.

Secondo certi giornali ufficiali, il Governo franchista tenta di ottenere l’estradizione di diversi rifugiati baschi accusandoli di responsabilità diretta nell’esecuzione del “cerbero grigio” del regime, compresi coloro che hanno provato chiaramente di non aver partecipato all’attentato.

La possibilità di tale estradizione è reale: sono note a tutti le strette relazioni che passano tra i due Stati. In occasioni precedenti Parigi ha ceduto alle esigenze repressive del Governo spagnolo. Perciò, malgrado che l’ETA combatte per la libertà del popolo basco precisamente contro il fascismo, è probabile che Pompidou e il suo Governo cedano alle pressioni del potere franchista. Sebbene non si possa affermare chiaro e tondo che le estradizioni richieste saranno concesse, possiamo essere sicuri che lo Stato francese non rimarrà insensibile alle esigenze franchiste: sono prevedibili, pertanto, espulsioni di rifugiati baschi sia in Euskadi Norte, che in altri dipartimenti di frontiera e in tutto il territorio francese.

D’altra parte i rifugiati non hanno alcun legame organizzativo con l’ETA. Pianifichiamo la nostra attività e studiamo il montaggio e il decollo delle nostre operazioni sempre in Euskadi Sur o nel resto dello Stato spagnolo. Infatti, l’Amministrazione francese non ha potuto provare che l’ETA disponga di basi in Euskadi Norte o in un altro punto dello Stato francese. Al contrario, affermiamo che tali “basi” esistono solo nell’immaginazione del Potere dittatoriale spagnolo, essendo una manovra sia per nascondere l’inefficacia e l’incapacità dei suoi servi di sicurezza, sia per spingere il governo francese alla rappresaglia contro i rifugiati politici baschi.

Facciamo appello a tutti i democratici, antifascisti e rivoluzionari del mondo intero, all’opinione pubblica internazionale, per una mobilitazione ampia e attiva contro ogni applicazione di rappresaglie riguardo i rifugiati politici baschi.

Gora Euskadi Askatasuna! Gora Euskadi Sozialista!

Euskadi, 28 dicembre 1973
E.T.A. (Euskadi Ta Askatasuna)

Dichiarazione di agosto

A tutti i rivoluzionari, democratici, antifascisti di Euskadi e del mondo intero.


1 – Euskadi è un popolo in lotta per la sua liberazione nazionale e sociale.

Se esiste il problema basco è perché esiste un popolo basco diverso dai suoi vicini, avente come tale diritto ad una soluzione diversa. Nel corso della sua storia il popolo basco ha sempre riaffermato la sua volontà di liberazione nazionale.

La Rivoluzione Francese (1789) e il liberalismo spagnolo del XIX secolo crearono due Stati centralizzatori, violentemente contro le minoranze nazionali; il nostro popolo si vide sezionato in due con l’imposizione della frontiera artificiale del Bidasoa (1841). Le sue leggi, riflesso giuridico di una società precapitalista, sparirono, la nuova legislazione rifletteva solo la dipendenza dagli interessi dei grandi capitalisti spagnoli e francesi.

L’oppressione nazionale basca venne consolidata con l’entrata del modo di produzione capitalista.

La borghesia francese soppresse l’autonomia delle provincie di Benabarra, Laburdi e Zuberoa (Euskadi Norte). Occupati militarmente i Baschi del Norte resistettero al centralismo dell’incipiente capitalismo francese. Euskadi Norte, isolato nello sviluppo economico francese, soffrì le conseguenze di tale sistema di pianificazione non conforme alle sue necessità: i capitalisti avevano deciso che diventasse: “la zona verde delle vacanze”. Le piccole aziende agricole non possono accedere al mercato francese; il mais diventa la sola coltivazione esistente e viene venduto a monopolisti che rovinano i coltivatori locali. Il Paese si spopola. Emarginato socialmente ed economicamente dalla borghesia parigina, Euskadi Norte agonizza lentamente.

Il liberalismo borghese decide per Euskadi Sur (Gipuzkoa, Bizkaia, Nafarroa, Arabal, Araba), dopo la vittoria armata della Guerra Carlista e la successiva abolizione giuridica dell’autonomia basca, la sua integrazione violenta negli ingranaggi politici, economici, sociali e culturali dello Stato spagnolo. Questo dette la possibilità al capitale europeo (e specialmente britannico) di sfruttare le miniere di ferro basche. All’ombra di tali attività si sviluppa un’industria pesante, attorno a Bilbao prima e poi Bizkaia e Gipuzkoa; attività di carattere antieconomico, con disponibilità di tecniche arretrate, creata al solo scopo di consentire ai padroni di godere al massimo dei benefici del mercato interno spagnolo, protetto dallo Stato.

Così sorse la moderna borghesia basca, che sviluppandosi ampiamente al principio del presente secolo con i settori idroelettrico, finanza e industria navale, si legò strettamente con i latifondisti e i finanzieri spagnoli, dando luogo all’attuale congiunto oligarchico oppressore. Nei riguardi della comunità basca, tale oligarchia si comporta essenzialmente come un nemico dichiarato anche riguardo l’aspirazione minore della libertà nazionale.

L’avvento della seconda repubblica (1931) apre la strada all’ottenimento dello Statuto di Autonomia (1936) che se non è rappresentativo di tutte le aspirazioni nazionali del nostro popolo, permette almeno di fissare la realtà del fatto basco.

La borghesia necessita per mantenere il proprio dominio di un apparato repressivo forte. Quando lo svolgersi della Rivoluzione diventa grave non esita ad usarlo, se la conclusione è imminente provoca la guerra civile, se essa trionfa, provoca la spaventosa tirannia militare. La sollevazione militare del 18 giugno 1936 scatenò i latifondisti, i finanzieri e gli industriali, appoggiati da un pugno di militari aristocratici e dalla gerarchia cattolica, contro i democratici, antifascisti e rivoluzionari dei diversi popoli dello Stato spagnolo. La sconfitta di questi ultimi consentì l’instaurazione del regime dittatoriale del fascismo di Franco al servizio della gran borghesia spagnola.

Il regime franchista è profondamente reazionario, la sua unica forma di dialogo è la forza bruta, colpendo con inusitata violenza non solo i rivoluzionari ma anche i democratici moderati.

Oggi, anche le minime libertà sono negate. I lavoratori mancano del diritto di associarsi per aiutarsi reciprocamente e per difendersi contro il capitale; mancano del diritto ad una stampa propria, a locali propri; mancano del diritto di sciopero e vengono considerati sovversivi tutti i tentativi di creare sindacati e gruppi politici. Nei conflitti sociali dichiarati i Sindacati ufficiali, la Polizia e la Guardia Civile stanno sempre dal lato dei padroni; la stampa, la radio e la televisione, quando parlano del conflitto lo fanno sempre in maniera deformante; tutto ciò che è ufficiale e quasi tutto quello che è legale si trasforma in politica anti-operaia e anti-popolare. Il meccanismo statale è soltanto un impressionante apparato repressivo al servizio dell’oligarchia.

L’attitudine della classe dominante è coerente: sul piano economico e sociale tratta il popolo lavoratore attraverso la repressione e il disprezzo dei suoi diritti più elementari; sul piano della personalità nazionale dei popoli oppressi, impiega una identità politica. Nel nostro caso, il suo comportamento è stato speciale.

Dalla proibizione espressa di parlare la nostra lingua, l’euskara, fino ai vergognosi castighi imposti ai fanciulli e alle fanciulle dei collegi e delle scuole che non sanno esprimersi correttamente in spagnolo, specie nell’ambito delle zone in cui la lingua basca è più diffusa, la borghesia spagnola ha combattuto sistematicamente la lingua e cultura del popolo basco. In trent’anni di franchismo la lingua basca è retrocessa più di quanto non avesse fatto dal 1778 al 1863.


2 – L’ETA intende assumere e risolvere la doppia problematica della classe dei lavoratori baschi.

L’ETA è un’organizzazione socialista e rivoluzionaria basca di liberazione nazionale. Siamo socialisti e nazionalisti baschi; il nostro obiettivo strategico è la creazione di uno Stato socialista basco diretto dalla classe lavoratrice di Euskadi come strumento di tutto il nostro popolo per l’edificazione di una società basca senza classi. In tale Stato, il potere politico, economico, sociale e culturale deve essere esercitato per e attraverso il popolo basco; concepiamo pertanto lo Stato Socialista Basco come un’entità eretta sulla base della federazione, a livello di Euskadi Norte e Sur, dei Comitati operai di base e di quartiere; intendiamo questi come strumenti del potere rivoluzionario generatori della lotta per noi lavoratori e per il nostro popolo.

L’uomo non è qualcosa di astratto che sfugge al condizionamento della realtà; al contrario, è un ente ben concreto, con interessi e problematiche concrete. Siamo Baschi. Lavoratori di Euskadi, di una comunità nazionale ben definita e determinata, in una specifica situazione di oppressione nazionale.

Non è possibile dimenticare e prescindere dal nostro piano nazionale nella lotta come classe lavoratrice basca. La nostra liberazione non sarà tale senza tener conto della totalità della nostra realtà, senza includere tutti gli aspetti della nostra completa proiezione umana come lavoratori e come Baschi.

Siamo per una cultura socialista basca, cultura liberatoria in quanto negazione della cultura borghese e straniera e in quanto affermazione della nostra personalità nazionale di classe come proletari di Euskadi.

Affermiamo che il problema culturale del popolo basco sarà completamente risolto solo con la euskadizzazione totale del popolo di Euskadi, partendo da una situazione di trilinguismo che, incominciata rivoluzionariamente, perverrà all’obiettivo previsto. In Euskadi vi sono dei lavoratori immigrati che non hanno visto la necessità di integrarsi in pieno nella realtà nazionale basca: dobbiamo facilitare in tutto questa integrazione. Coloro che non vorranno tale integrazione potranno liberamente seguitare a considerarsi spagnoli, galiziani o francesi, in quanto riteniamo necessario garantire i loro diritti con l’obiettivo di evitare la minima discriminazione o disuguaglianza nella futura società basca.

La borghesia è il nemico principale dei diritti nazionali del popolo. L’oppressione nazionale sorse come prodotto di consolidamento del sistema capitalista, per cui la risoluzione del problema nazionale passa necessariamente attraverso la distruzione del potere borghese. Lotta di classe e potere nazionale formano un’unità. Siamo socialisti. La nostra lotta di liberazione si sviluppa e viene incanalata in una prospettiva rivoluzionaria di classe.

Il Capitalismo è un modo di produzione basato sullo sfruttamento dell’uomo da parte dell’uomo; esiste una contraddizione antagonista tra i nostri interessi come proletari e quelli della borghesia. E tale antagonismo potrà risolversi solo attraverso la Rivoluzione Socialista.

I miglioramenti elevano il livello di vita e di sicurezza della classe lavoratrice, senza potere per altro distruggere il dominio della borghesia. Sono utili in quanto permettono a milioni di persone di condurre una vita meno dolorosa. Però non minano le basi del sistema: dobbiamo estirpare le radici dello sfruttamento, dobbiamo distruggere tutti i rapporti di produzione capitalista. Perciò nella lotta di emancipazione i nostri tentativi devono dirigersi verso l’abolizione del lavoro salariato e della proprietà privata dei mezzi di produzione fino al conseguimento della società senza classi.

Noi concepiamo una Euskadi liberata dalla borghesia. Siamo decisi a realizzare, come Baschi, una società liberata dallo sfruttamento, ed è per questo che siamo uno Stato Socialista Basco.

Siamo indipendentisti. Onestamente crediamo che il nostro problema, di lavoratori baschi, come classe sfruttata in un contesto di popolo nazionalmente oppresso e diviso, non può risolversi all’interno del quadro spagnolo o francese. Certamente la nostra liberazione come classe potrebbe essere pensata anche all’interno di una Spagna o di una Francia socialiste. Ma, è nostra opinione, che solo un Potere indipendente in nostre mani è decisivo; solo uno Stato Socialista Basco potrà garantire la risoluzione dell’altro aspetto del problema: la nostra liberazione in quanto membri di una comunità nazionale oppressa: Euskadi.

Naturalmente questa indipendenza ha per noi un contenuto socialista: sarà un’indipendenza-separatista rispetto all’imperialismo degli Stati capitalisti spagnolo e francese, e una indipendenza-unionista rispetto tutti gli altri popoli del mondo e in modo particolare rispetto i nostri immediati vicini. Indipendenza significa creazione di un sistema sociale basco completamente diretto dal nostro popolo, e indipendentemente dal grado di compromesso con i popoli vicini in funzione del momento storico, siamo partigiani dell’abolizione delle frontiere quando ciò non serva ad un uomo per sfruttarne un altro o ad un popolo per opprimerne un altro. La nostra lotta indipendentista è concepita all’interno dell’unità di tutti i lavoratori del mondo e in funzione degli interessi della Rivoluzione Socialista.

Siamo partigiani della lotta armata. L’ETA intende sviluppare presto una lotta armata diretta contro l’apparato degli Stati oppressori, in funzione dei nostri interessi come classe lavoratrice e del resto del popolo basco.

L’oligarchia non cederà né le sue posizioni né i suoi privilegi senza resistenza; da ciò il mantenimento e la creazione di organizzazioni repressive altamente specializzate e senza scrupoli. Coloro che pensano possibile un cambiamento senza violenza, sembrano dimenticare l’insegnamento dell’esperienza quotidiana: l’oligarchia non esita un istante a lanciare la potenza del suo apparato repressivo contro i lavoratori e il popolo indifeso quando lo considera necessario.

Concepiamo la lotta armata come la forma suprema di lotta della classe lavoratrice. La liberazione come classe e come popolo sarà possibile mediante l’insurrezione armata del proletariato e del resto del popolo di Euskadi in un’articolazione tattica rivoluzionaria con gli altri popoli che compongono lo Stato spagnolo. È precisamente per questo che mettiamo in azione un dispositivo armato che gradualmente incrementerà la sua ampiezza in funzione della radicalizzazione delle lotte del popolo basco, fino a consolidarsi come apparato militare capace di fissarsi come alternativa di potere rivoluzionario all’attuale regime di sfruttamento ed oppressione.

Favorevoli sulla carta alla lotta armata, vi sono coloro che affermano che in pratica essa, attualmente, è reazionaria non essendoci le condizioni adatte per il suo sviluppo. Coloro che pensano così dimenticano due cose: che le condizioni rivoluzionarie esistono già (e la migliore prova di ciò è data dalla nostra esistenza come ETA) e che queste si creano solo con la lotta.

Se da un lato è certo che il rafforzamento dell’organizzazione armata dipende dalla crescente politicizzazione degli oppressi, dall’altro la lotta armata generalizzata può sorgere solo come prodotto di una pratica costante. Tentare di estenderla ed amplificarla è un imperativo di tutti i rivoluzionari.

Oggi la nostra lotta militare presenta due aspetti: a livello tattico si tratta di potenziare ed appoggiare la dinamica di massa che sviluppa la classe operaia e il resto del nostro popolo; a livello strategico, si tratta di andare gettando le basi per la formazione di un dispositivo armato in mano dei lavoratori e del popolo basco, capace di rendere inutilizzabile e quindi vano il supporto repressivo dell’oligarchia in Euskadi.

È chiaro che i progressi nella lotta traggono dietro un aumento repressivo. Può essere che alcuni gruppi, trovandosi in una situazione molto più dura, finiscano per negare la validità della strategia militare. Di questi gruppi, al presente ne esistono diversi, cercano di trovare una giustificazione teorica alla loro incapacità rivoluzionaria utilizzando argomenti diretti a qualificare la dinamica militare come “intrinsecamente piccolo-borghese”, “avventurismo suicida”, “strategia terzomondista”, ecc., non rassegnandosi alla progressiva perdita del loro carattere rivoluzionario, sviluppando le critiche nel tentativo di recuperare un processo rivoluzionario – il nostro – che sfugge loro di mano...


3 – Chi sono i nostri alleati come classe lavoratrice basca.

La contraddizione principale della nostra lotta rivoluzionaria è quella che pone di fronte alle classi popolari basche – con il proletariato industriale in testa – i borghesi monopolisti spagnoli e francesi; esistendo un vincolo obiettivo di unione, interessi di classe comune – non identici – che determinano il carattere popolare e non meramente proletario della rivoluzione pendente in Euskadi.

Nel nostro caso, tale affinità di interessi rivoluzionari va potenziata per l’esistenza di un’oppressione nazionale comune alla classe operaia e al resto delle classi popolari, ai gruppi sociali rivoluzionari: apprendisti, lavoratori amministrativi, piccoli proprietari, commercianti e industriali, studenti, intellettuali e altri salariati.

La Rivoluzione Popolare Basca costituirà pertanto la prima fase della costruzione del Socialismo in Euskadi, impiantando in sostituzione degli attuali rapporti monopolistici il potere rivoluzionario basco popolare, distruggerà completamente l’oligarchia sul piano economico, politico, sociale e culturale, intraprendendo l’edificazione della società socialista basca.

Una società futura è inconcepibile senza l’abolizione dei rapporti politici, economici, sociali e culturali di carattere oppressivo tra gli uomini e i popoli; questa società è già contenuta nel carattere socialista delle lotte attuali. Se oggi la lotta rivoluzionaria è effettuata in modo che al suo interno esistono gruppi che impiegano rapporti oppressivi verso altri gruppi, il trionfo della rivoluzione sarà impossibile con tali gruppi e tale politica. Perciò, una condizione indispensabile per ogni internazionalismo è il rispetto della particolarità di un popolo. Nel nostro caso, esigiamo che si riconosca e si rispetti il fatto della liberazione del popolo basco attraverso una strategia propria e un movimento rivoluzionario proprio; realizzazioni rivoluzionarie che tutti dobbiamo ammirare e rispettare.

Da parte nostra, nello stesso tempo che esigiamo il rispetto della nostra particolarità nazionale e della nostra indipendenza strategica, in quanto lavoratori baschi dobbiamo insistere intensamente perché i lavoratori spagnoli e francesi comprendano che la nostra lotta indipendentista non è diretta contro di loro. Condanniamo pertanto coloro che vogliono una Euskadi indipendente, ricca e potente, armata fino ai denti e adatta a sfruttare la forza lavoro degli immigrati senza diritti politici e sindacali per sfruttare internazionalmente una Spagna sottosviluppata. La nostra forza militare deve servire per liquidare l’oppressione e non per sfruttare gli altri popoli; il nostro potenziale economico deve contribuire alla crescita di una società dove non esista un uomo che ne sfrutti un altro e dove nessun popolo intenda neocolonizzare un altro popolo.

Di più, la ricchezza di Euskadi è dovuta al sudore di migliaia di lavoratori immigrati. Se per i lavoratori spagnoli e francesi la liquidazione di ogni diseguaglianza culturale e nazionale nei riguardi del popolo basco è un obbligo internazionalista, per noi, lavoratori baschi, è un contributo allo sviluppo delle future Spagna e Francia socialiste.

La condanna dello sciovinismo nazionale basco va unita con quella del social-imperialismo di certi gruppi spagnoli e francesi. Pretendendo che la lotta per l’indipendenza nazionale basca divida la classe operaia, si vuole in realtà perpetuare un sentimento unitario che è opera della borghesia. Vi sarà unità reale tra noi, lavoratori baschi, e i lavoratori spagnoli e francesi, solo quando questi ultimi abbandoneranno ogni posizione sciovinista e comprenderanno e appoggeranno veramente la nostra lotta di liberazione nazionale. Riteniamo pertanto controrivoluzionari tutti i tentativi di occultamento e di sviamento di questo problema.

La nostra liberazione nazionale e sociale come classe operaia basca sarà possibile mediante la congiunzione – non sovrapposizione – solidale delle forze rivoluzionarie di tutti gli oppressi e sfruttati dentro gli Stati spagnolo e francese.

L’ETA, che predica la lotta armata e ritiene come principio strategico l’estensione della stessa, è particolarmente interessata al mutuo appoggio di tutti i gruppi che praticano questa lotta oggi o domani.

L’unità antifranchista si costruisce principalmente sulla base e sulla pratica della lotta di massa e della lotta armata. Nonostante ciò non dimentichiamo le diverse possibilità alternative di sostituzione al regime, che appoggeremo con diverse intensità.

Come rivoluzionari baschi lottiamo contro ogni oppressione, contro l’oppressore nazionale e contro lo sfruttamento capitalista. Per ciò siamo per uno Stato Socialista Basco. Ci spinge a ciò la convinzione piena che in altro modo non potremo ottenere una giusta soluzione alla nostra attuale esistenza di lavoratori baschi sfruttati come classe, oppressi e divisi come popolo.

Gora Euskadi Askatuta!! Gora Euskadi Sozialista!!

Proletariato e popoli oppressi di tutto il mondo uniamoci!!

Commando Txikia
dell’organizzazione E.T.A. (Euskadi Ta Askatasuna)

Documento del commando “Txikia”

Non possiamo concludere questa intervista senza prima passare in rivista (sia pure in modo breve e non completo) le posizioni, di fronte all’esecuzione di Carrero Blanco di alcune personalità e dei partiti politici dell’opposizione che sviluppano la loro attività all’interno dello Stato spagnolo


1 – In primo luogo abbiamo la posizione di Luis Maria Leizaola, Presidente del Governo Basco in esilio, dopo la morte di José Antonio Aguirre antico membro staccatosi dal Partito Nazionalista Basco.

Subito dopo la pubblicazione del primo comunicato dell’ETA, col quale la nostra organizzazione rivendicava come propria l’esecuzione di Carrero Blanco, il Sig. Leizaola emise un altro comunicato pubblico nel quale negava la nostra responsabilità fondandosi su due ragioni:

a) L’atto di violenza estrema come la morte premeditata e perfettamente pianificata, è estranea all’uomo basco, perciò l’ETA non è intervenuta nell’esecuzione del Presidente del Governo Franchista.

b) Se si trattava dell’ETA, il Sig. Leizaola come Presidente del Governo Basco in esilio e pertanto massimo rappresentante politico del Popolo Basco sarebbe stato informato dell’accaduto, e invece non c’era stata alcuna comunicazione.

Analizzare i due punti è cosa di grande importanza per comprendere il vero significato del Governo Basco:

a) L’accettazione del primo dei due punti ha avuto storicamente gravi ripercussioni sopra tutti i lavoratori e il resto delle classi popolari basche. I nostri padri sono invecchiati avvolgendosi nella “bontà” del passato e nel rifiuto della violenza, cosa che li ha definitivamente condotti alla sconfitta. È chiaro una volta per tutte che contro la borghesia e il suo apparato di potere dello Stato spagnolo (la dittatura franchista) non sono utili da sole la resistenza passiva o la violenza difensiva (nota 1); la borghesia (e lo stesso le classi detentrici della ricchezza che l’hanno preceduta) ha istituzionalizzato la violenza nella forma di sfruttamento nei rapporti socio-economici e nella forma di oppressione nei rapporti culturali e politici. Gli interessi dell’oligarchia e dei settori pro-monopolisti statali, da una parte, e quelli dei lavoratori e del resto dei settori popolari (anti-monopolisti), dall’altra, sono in contraddizione; questa può essere risolta soltanto mediante la sconfitta definitiva di uno dei due elementi (nota 2) in lotta: l’oligarchia (e i suoi alleati), minoritaria, discriminatoria è destinata a scomparire per aver portato a termine il compito che la storia gli ha affidato. Questa lotta non conosce norme “morali”, né alcun tipo di regolamento. La resistenza passiva, la violenza difensiva, possono essere strumenti tattici ausiliari; ma quando la violenza è istituzionalizzata da parte della classe sfruttatrice, nessuna strategia può restare nella condizione precedente se vogliamo veder coronato da successo il nostro sforzo. Per raggiungere la vittoria è necessario prendere l’iniziativa a tutti i livelli di lotta, e la violenza è soltanto un livello di lotta più alto degli altri, il livello definitivo e di ultima istanza.

Le parole Sig. Leizaola sono la conseguenza della formazione culturale umanista piccolo-borghese che orienta la politica del PNV. Da molti anni a questa parte, che ha avuto come conseguenza di sviare alcuni settori, fortunatamente sempre più ridotti, del popolo dall’unico cammino possibile per raggiungere i suoi obiettivi.

b) Se per caso il Sig. Leizaola non avesse dato ampie prove del suo abbandono della lotta per la liberazione economico-sociale, culturale e politica del Popolo basco, la frase prima analizzata sarebbe stata sufficiente per definirlo un traditore. Ma il Governo basco in generale ha dimostrato negli ultimi anni una tale assoluta carenza di attività e un tale distacco profondo dai veri interessi popolari baschi, che qualsiasi considerazione in questo senso è superflua. Il Governo basco non è che un fantasma vagabondo di una situazione che ha assolto il suo compito storico e che oggi potrebbe risuscitare solo ad opera di qualche manovra dell’oligarchia spagnola alla ricerca dell’integrazione del popolo basco nel sistema monopolistico, manovra che stanno compiendo alcune organizzazioni riformiste spagnole. È chiaro che l’unica funzione che oggi può svolgere il Governo basco è quella di strumento della classe sfruttatrice e ciò nel caso in cui questa decidesse di cambiare la dittatura fascista in un sistema politico di maggiore capacità di manovra di fronte all’iniziativa popolare. Ma l’oligarchia assegnerà questo compito al Governo basco solo nel caso che questo possa dimostrare di essere capace di assimilare il resto delle forze patriottiche, tra le quali inevitabilmente contiamo qualcosa. Perciò il Sig. Leizaola crede di avere conseguito questo obiettivo e scrive la seconda delle ragioni per la quale l’ETA non poteva essere l’esecutrice di Carrero Blanco. Occorre ricordare che l’ETA si è definita come Organizzazione Rivoluzionaria Socialista Basca di Liberazione Nazionale, e che pretende essere nelle sue azioni conseguente con le idee; che giammai ha ammesso l’autorità, e meno ancora la paternità del Governo basco, che considera come sopra descritto; e, per ultimo, che ammetterebbe soltanto l’autorità di un Governo Popolare Rivoluzionario diretto dalla Classe lavoratrice di Euskadi.

Proseguiamo. Giunto a conoscenza dell’ETA il comunicato del Sig. Leizaola fu inviata una delegazione ufficiale per sollecitare la rettifica delle sue affermazioni. Ne derivò una dura discussione con ragioni di vero infantilismo dialettico, dirette a giustificare. Egli arrivò a dire ai membri della delegazione: Voi eravate a Madrid quando avvenne l’attentato? No? E allora come sapete che è stata la vostra organizzazione? Allo stesso modo potremmo affermare che non fummo noi a distruggere Guernica e lui non ci avrebbe creduto. Rispondemmo che non bisogna avere visitato la Cina per sapere che vi si coltiva il riso e poi che bisogna applicare il detto popolare: mal di molti consiglio di tutti.

Immediatamente fu inviata una seconda delegazione accompagnata da due membri del PNV che garantissero l’autenticità dei militanti dell’ETA. Detta delegazione consigliò a Leizaola di firmare la seguente dichiarazione in francese:

“Su pressione dei rappresentanti dell’Organizzazione Basca ETA debbo precisare che detta organizzazione rivendica, conformemente al comunicato distribuito, di essere la responsabile dell’attentato che ha causato la morte del Capo del Governo di Madrid, Ammiraglio Carrero Blanco.

“Che detta Organizzazione non figura tra quelle che appoggiano il Governo basco stabilitosi nel 1936, che continua la sua funzione in esilio, non essendoci legami tra loro.

“Fatto in Parigi il 22 dicembre 1973”.

Luis Maria Leizaola

Questa dichiarazione che doveva essere pubblicata integralmente venne inviata dalla delegazione dell’ETA al giornale della sera “France Soir”, che per motivi sconosciuti (non si può escludere la possibilità di una pressione da parte del Governo basco) la pubblicò mancante della seconda parte e mistificando la prima.

2 – Merita senza dubbio un’attenzione speciale la posizione del Partito Comunista Spagnolo fatta conoscere attraverso una dichiarazione del Comitato Centrale e del suo Presidente Santiago Carrillo alla rivista “Mundo Obrero” in data 29 dicembre 1973.

Posto che l’obiettivo di queste note si riduce ad esaminare le diverse posizioni delle varie forze di opposizione di fronte all’esecuzione di Carrero Blanco, e non pretende essere un’analisi di nessuna linea politica, ci affideremo a due dichiarazioni che non abbisognano di molto approfondimento in quanto assolutamente chiare.

“Noi siamo contro l’attentato individuale perché riteniamo che non risolve niente, non dà una spinta e può al contrario costituire un ostacolo allo sviluppo della lotta del popolo, della massa, la sola a fornire possibilità di soluzione”.

(Dalla dichiarazione del Plenum del C.C.)

Questa tesi teorica è antica quanto il tradimento delle parole di Marx e di Lenin da parte di molti autodenominatisi marxisti-leninisti che nella pratica sono semplicemente dei riformisti.

Nessun metodo di lotta, nessuna azione minoritaria o di massa, sono intrinsecamente cattivi, tutto dipende dalla loro adeguazione o meno al processo rivoluzionario nel quale si inseriscono.

L’azione per l’azione è avventurismo. La subordinazione del lavoro di presa di coscienza, organizzazione ed elevazione del livello di lotta delle masse lavoratrici, all’attivismo minoritario è segno inconfondibile di un’ideologia piccolo-borghese, che basa le sue speranze sulla temerarietà e l’audacia di un piccolo gruppo di uomini selezionati, disprezzando il potenziale rivoluzionario della massa operaia, unico capace di scatenare al più presto la rivoluzione socialista.

Però esiste un terzo tipo di azione minoritaria il cui contenuto è fondamentalmente diverso alle azioni suddette. È quella che viene in aiuto al lavoro di presa di coscienza, organizzazione ed elevazione del livello di lotta delle masse come pure al loro avvicinamento al potere.

Trattare come ha fatto Carrillo il problema dell’azione minoritaria è emblematico, come dire che la pioggia è dannosa. La pioggia è dannosa o buona a seconda delle condizioni o dei risultati che determina. La stessa pioggia che può causare un’inondazione delle città, con conseguente danno, può essere ottima per fertilizzare un campo che minacciava di non dar frutto a causa della siccità.

Giudicando la linea di un’organizzazione, si può dire, come Carrillo, che l’attentato individuale non è una soluzione; però quando gli è stato chiesto il suo parere non gli si è fatta la domanda in relazione alla linea d’azione dell’ETA, ma riguardo l’esecuzione di Carrero Blanco in concreto, ed è su ciò che la sua risposta doveva essere incentrata. Ma ciò lo avrebbe costretto a sviluppare una critica dell’azione, anche in rapporto al tempo in cui questo tipo di azione era utilizzato dal PC. È stato quindi molto più facile muoversi sulla base di dogma. In questo modo Carrillo è sfuggito alla risposta sollecitata riparando in un cliché astratto.

Un attentato individuale, come qualsiasi azione politica, non è mai neutrale: favorisce od ostacola il cammino delle masse verso il potere: da ciò l’utilità di realizzare subito la critica corrispondente. Certamente un attentato individuale (e nemmeno cento) non risolve da per se stesso qualcosa, non dà una risoluzione totale ai problemi della massa sfruttata; può però aiutare a trovarla? Carrillo non contesta questo punto cadendo in flagrante contraddizione con le parole precedenti:

“...l’attentato individuale... può costituire un ostacolo allo sviluppo della lotta del popolo, delle masse...”.

Notiamo che non dice “è un ostacolo” ma semplicemente “può essere un ostacolo” con che dà luogo alla possibilità che non lo sia; e dato che nessuna azione è neutrale, tutte quelle che non sono un ostacolo saranno, al contrario, un aiuto; la qual cosa lo giustifica pienamente.

È da notare che Carrillo implicitamente riconosce con noialtri che un attentato individuale può essere positivo. E allora: perché parla dell’attentato in genere? Se avesse risposto alla domanda concreta rivoltale dal suo intervistatore avrebbe evitato molte contraddizioni.

Ma la risposta elusa da Carrillo l’ha la data il C.C.:

“Compatrioti!

“Il nostro Paese entra in una fase critica che non può essere sottovalutata nel suo sviluppo. La crisi del regime dittatoriale, per molto tempo latente, si è svelata in occasione della morte dell’Ammiraglio Carrero Blanco. Quello che risulta evidente è che la crisi del potere resta aperta. Vi è un apparato statale che resta in piedi, ma il sistema politico che dirige questo apparato è entrato nella fase di disintegrazione”.

Da queste parole, come si potrebbe dedurre che l’esecuzione di Carrero Blanco è stata un fatto negativo? Non crediamo che qualcuno possa immaginare un sistema politico più crudele e repressivo verso la classe operaia del fascismo (nota 3) per cui l’entrata di questo regime in una fase di disintegrazione non può avere che conseguenze positive per i popoli dello Stato spagnolo (nota 4).

“...non si tratta di una minaccia. Però, in effetti, se le cose andranno così, non rinunceremo per questo alla libertà. La violenza nella lotta di massa può arrivare ad imporsi come una necessità, e se la lotta si porrà su questo terreno, se non esiste altra via, l’accetteremo.

“Sarà molto duro, molto doloroso e molto grave. Stiamo facendo tutto il possibile perché lo si possa evitare. Invitiamo tutti, senza distinzione, ad evitarlo...”.

Dice Carrillo in un altro punto della sua dichiarazione. E qui sta la base del suo anatema ad ogni attentato individuale. Confida nella possibilità che il padrone allenti allo schiavo la catena una volta che questo si dimostra docile, anche se sinuosamente minaccioso. La cosa che sembra non comprendere, e la storia lo ha confermato a mezzo di successive esperienze, la docilità serve allo schiavo solo per restare legato, è che quando qualche classe sociale ha ottenuto il riconoscimento di una rivendicazione, ciò è successo grazie ad una lotta brutale, che l’ha strappato con la forza alla classe sfruttatrice.

Basare l’eliminazione del fascismo su il dialogo e la convergenza degli interessi dei diversi settori sociali dello Stato, equivale a seminare un terreno arido: non ci si può aspettare alcun frutto. Perché il fascismo possa passare in modo pacifico al regime democratico, deve essere l’oligarchia a volerlo. E quest’ultima deciderà in tal senso solo quando un insieme di condizioni economiche, politiche e di altro genere l’obbligheranno.

Qualcuno pensa che l’oligarchia è spinta ad un’apertura democratica a seguito della sua urgente necessità di integrarsi nel Mercato Comune Europeo; e che questa è la ragione fondamentale del suo comportamento. Ma chi ragiona in questo modo dimentica che nessun mercato, e meno di tutti quello europeo (al quale la tecnica spagnola ha ben poco da offrire) può stare a paragone con il super sfruttamento della classe operaia garantito dal fascismo. È possibile che l’oligarchia intenda democratizzare il sistema di sfruttamento con l’intento di mantenere i suoi privilegi di classe, minacciati dalla pressione popolare contro il fascismo. In ogni caso, solo la lotta del popolo può lavorare il campo politico preparandosi al raccolto della democrazia borghese. I frutti saranno difficili in quanto dopo il secolo XVIII il terreno si è rivelato molto duro. Il fascismo non è, come qualcuno ha pensato, un sistema pre-borghese, ma un sistema che regge anche la repubblica democratico-borghese. Ad ogni modo, per quanto non si possa fare gran assegnamento, non ci sarebbe problema alcuno che una rivendicazione del sistema democratico-borghese possa entrare a far parte del programma politico minimo della classe operaia; al contrario sarebbe conveniente per integrare i settori non operai anti-monopolisti. Però non bisogna dimenticare che ogni concessione democratica da parte dell’oligarchia sarà conseguita soltanto grazie alla lotta continuata e sempre più intensa di tutto il popolo; lotta caratterizzata tanto dalle azioni di massa quanto dalle azioni minoritarie e specialmente quelle, tra quest’ultime, più adatte a determinare le condizioni più favorevoli allo sviluppo delle prime.

La libertà non è stata mai una concessione della classe sfruttatrice alla classe sfruttata ma è stato sempre un diritto strappato da questa a quella, e l’unico modo per conseguire tale diritto è stata la forza. Non basta dire: “... se non ci date la libertà lotteremo”, perché le parole da molto tempo non fanno più paura alla gente, bisogna lottare. La violenza della lotta di massa non è che “potrà arrivare ad imporsi come una necessità”, fin da oggi costituisce una necessità urgente ed è compito delle avanguardie rivoluzionarie comprenderlo e far sì che il popolo lo comprenda e cominci ad organizzarsi in modo da realizzarla.

“...La mano che ha realizzato il fatto non è conosciuta, ad ogni modo deve trattarsi di professionisti sperimentati e poderosamente coperti; per cui pensiamo che la rivendicazione venga da irresponsabili che rivendicano la paternità del fatto aiutando così a coprire i veri autori di esso...”

(dalla dichiarazione del Plenum del C.C.)

“Quando abbiamo detto che l’attentato a Carrero Blanco era opera di professionisti e non di militanti, non l’abbiamo detto con nessuna intenzione peggiorativa riguardo l’ETA. Abbiamo detto soltanto che esso recava l’impronta di certi servizi specializzati, non di un’organizzazione i cui mezzi e possibilità sono limitati.

“Avendo scelto il 20 dicembre, giorno del processo contro le Commissioni Operaie, e accusando l’ETA, sembrava trattarsi di un tentativo di coprire i veri organizzatori dell’attentato, che sembravano non venire da sinistra...”

(dichiarazione di Santiago Carrillo)

Come dice un proverbio popolare: Dio li fa e tra di loro si accoppiano. Anche qui è successo così, per cui non c’è da meravigliarsi. Per diverse strade tanto il Governo basco che il PCE sono arrivati alla stessa conclusione: l’ETA non ha potuto essere l’organizzatrice dell’esecuzione di Carrero Blanco. Il cammino del tradimento e della cosiddetta rivoluzione, per quanto con meandri diversi, sarebbe identico e unirebbe coloro che se ne fanno partigiani.

Se i dirigenti del PCE mantenessero un certo legame con il popolo avrebbero avuto la stessa intuizione che hanno avuto molti militanti di base, accettando come logico il fatto che l’ETA aveva organizzato l’esecuzione di Carrero Blanco. Sarebbe tempo che costoro apprendessero a sentire con il popolo evitando di arrivare a posizione tanto ridicole, come quella di Leizaola, e tanto impopolari.

Il fatto è che mai una dichiarazione ha avuto un sì profondo disprezzo per le capacità rivoluzionarie di un popolo, come quella della direzione del PCE, sia riguardo al nostro popolo che verso tutti i popoli dello Stato spagnolo.

Un alto ufficiale dell’OAS, un sergente della legione francese, uno specialista dell’IRA, un ingegnere minerario, un tecnico elettricista, un tecnico ottico: tutti costoro sarebbero stati necessari, secondo la stampa ufficiale e i militari fascisti, per uccidere Carrero Blanco, e la direzione del PCE, con Carrillo in testa, fa coro con essi.

È logico che il regime franchista faccia dichiarazioni di questo tipo: in qualche modo deve giustificare l’esecuzione dei suoi dirigenti in piena Madrid, tanto intensamente vigilata dalle diverse sezioni della polizia. Ma la Direzione del PCE che scusa può avere? È inutile cercarla perché non esiste.

Il suo disprezzo verso il popolo arriva fino al punto di ritenerlo incapace di scavare un piccolo tunnel, di installare un esplosivo, tendere un cavo e premere un interruttore. È assolutamente logico che una tale visione del popolo conduca a predicare il pacifismo e la “riconciliazione nazionale”; in quanto se non lo si considera capace di venire a capo di una cosa tanto semplice, come lo si può considerare capace di fare una rivoluzione? Fare una rivoluzione socialista significa, da parte della classe dei lavoratori, distruggere lo Stato borghese e costruirne uno proletario; significa prendere in mano la direzione economica, culturale e politica del Paese. Come può una classe operaia incapace di preparare e produrre un’esplosione, essere capace di responsabilizzarsi su compiti tanto più complicati?

Nonostante ciò, e ad onor del vero, dobbiamo riconoscere che nessun membro della Direzione del PCE conosce la tecnica degli esplosivi. Può essere che non sanno che scavare un tunnel di quindici metri è un lavoro che chiunque può fare purché non abbia gravi difetti fisici; che bastano dieci minuti per apprendere ad installare un esplosivo come quello utilizzato in via Claudio Coello; che tendere un filo è lavoro di un bambino purché abbia una scala; e che per ultimo per premere un pulsante basta l’impulso che ogni uomo ha di liberarsi della propria oppressione. Tutto ciò costituisce un’accusa, un’accusa assai grave per un partito che si dice rivoluzionario e che con l’ignorare le tecniche della lotta armata dimostra che da molto tempo ha deciso di considerare la possibilità della violenza armata come non necessaria.

D’altra parte, per quanto la tecnica precisa per l’esecuzione di Carrero Blanco possa essere stata complicata, è forse la prima volta che il popolo, nella sua storia, ha dimostrato di essere capace di sostituire l’insufficienza rispetto alla tecnica convenzionale con il valore e l’immaginazione creativa? Com’è possibile che un gruppo di marxisti coscienti che la classe lavoratrice è creatrice di tutto ciò che esiste, la considerano incapace di fare una cosa tanto semplice? Il fatto è che la direzione del PCE non ha di marxista che l’etichetta, avendo da molto tempo dimenticato il vero contenuto del marxismo.

Carrillo non deve domandare perdono all’ETA in fin dei conti lo conosciamo da molto tempo. Chieda perdono ai popoli dello Stato spagnolo e procuri di non disprezzarli perché non sarà certo lui a fare la rivoluzione ma questi ultimi. Non basta dire che il popolo è maggiorenne, bisogna saperlo riconoscere in pratica. Le sue parole dimostrano, come quelle del Sig. Leizaola (per un altro aspetto), una totale incapacità di uscire dagli schemi mentali della borghesia e involontariamente servono da appoggio attivo al mito che azioni rivoluzionarie come quella di Carrero Blanco restano fuori di portata della massa a causa del loro livello tecnico; mito che è indispensabile distruggere davanti agli occhi del popolo per dimostrare che lo Stato borghese non è inespugnabile, che la rivoluzione è possibile. È ora di dimostrare che la rivoluzione non è un problema di professionalismo o militantismo, è l’unica soluzione alla necessità dei popoli di liberarsi; e i popoli hanno sempre saputo affrontare le necessità che si sono loro presentate.


3 – Vediamo adesso la posizione dei gruppi sorti come conseguenza delle diverse scissioni dell’ETA nel suo breve ma agitato periodo di vita: VI Assemblea (e non ETA VI Assemblea come impropriamente si è detto), oggi fusa con LCR e Movimento Comunista Spagnolo (MCE), che per la somiglianza delle critiche può esaminarsi in una sola volta.

VI Assemblea ha una dura critica alla posizione dei partiti revisionisti e giustifica l’azione moralmente:

“ETA VI-LCR appoggia l’esecuzione dell’assassino Carrero Blanco come atto di legittima rappresaglia da parte dell’ETA V, in risposta all’assassinio dei suoi militanti negli ultimi anni”.

(“Zutik”, n. 62, gennaio 1974)

Molte grazie ma vorremmo ricordare che non è stata la vendetta dei militanti assassinati la ragione esclusiva, e nemmeno fondamentale che ha spinto l’ETA all’esecuzione di Carrero Blanco.

Peraltro non è un giudizio morale quello che la classe operaia aspetta e sollecita da parte delle sue avanguardie, ma una valutazione politica dell’azione. Questa risposta LCR-VI Assemblea, l’elude attraverso alcuni bamboleggiamenti dialettici. Vediamo le sue parole:

“Però né la nostra valutazione della giustezza della legittimità della rappresaglia dell’ETA-V, né la constatazione dell’effettivo giubilo che l’esecuzione di Carrero ha suscitato nelle masse, spostano la nostra convinzione contro le illusioni che l’attivismo minoritario in generale e questo attentato, possano creare nella classe operaia e nelle frange della sua avanguardia.

“Sebbene sia certo che, in un periodo di maturazione pre-rivoluzionaria – come l’attuale – l’esecuzione del presidente del governo possa causare effetti stimolanti sopra il movimento; può anche determinare false prospettive nel cammino per la preparazione politica ed organizzativa della classe operaia nella sua lotta per l’abbattimento della dittatura.

“In altre parole (e indipendentemente da quella che sia o no la concezione dell’ETA-V), non è attraverso la liquidazione progressiva dei capi del regime che si può arrivare a distruggere quest’ultimo, ma attraverso l’azione rivoluzionaria delle masse”.

(“Zutik”, n. 62, gennaio 1974)

ETA accetta come proprie queste concezioni, ma intende fare risaltare un aspetto nell’analisi del problema rivoluzionario, che va tenuto presente con la massima attenzione. VI Assemblea-LCR ha considerato l’azione unicamente dal punto di vista delle ripercussioni che essa può avere sull’organizzazione della classe operaia. Però, in un conflitto, le due parti in lotta si fronteggiano dialetticamente. Per cui è importante che la classe operaia si fortifichi e assuma maggiore coscienza ma è anche importante che il nemico si indebolisca.

Vediamo, a questo riguardo, un frammento di un articolo pubblicato sul settimanale francese “Le Nouvel Observateur” (24/30 dicembre 1973) relativo l’esecuzione di Carrero.

“Dopo il 1949 Carrero Blanco domina di fatto tutto il Paese.

“Dopo il 1956 contatta i leaders dell’Opus Dei. Con il principale dirigente di questa organizzazione, López Rodó e la benedizione di Franco prepara in segreto la restaurazione della Monarchia. Si sa che era l’uomo incaricato di continuare il franchismo dopo Franco.

“Mentre il Caudillo invecchia, le famiglie del franchismo cominciano a scontrarsi: Opus Dei contro Falange; solo Carrero Blanco, accettato dell’Opus, temuto della Falange per la sua devozione a Franco, poteva impedire il crac e preparare il terreno per il futuro re Juan Carlos, agitando il burattino, tanto insignificante in se stesso.

“Per indebolire il regime e la macchina franchista, i separatisti baschi non potevano scegliere migliore obiettivo”.

In effetti: si può dubitare che l’esecuzione di Carrero Blanco sia stato un duro colpo al fascismo e allo Stato spagnolo, e che abbia acuito gli elementi di contraddizione conviventi all’interno dello Stato, tenuti a bada dal defunto Presidente? Si può dubitare dell’effetto radicalizzatore che eserciterà su tali elementi di contraddizione, e dell’effetto acutizzatore del conflitto? Indipendentemente che esista o no un sostituto di Carrero Blanco effettivamente in grado di portare avanti il compito di coagulazione all’interno delle forze iner-oligarchiche, le lotte intestine di queste non si acutizzeranno obbligatoriamente? I settori liberaloidi, che prima dicevano: bisogna dare certe libertà al popolo per impedirgli di lottare, non insisteranno su quella loro tesi più energicamente? E, al contrario, coloro che predicavano una maggior rigidità per contrastare la lotta popolare, non la solleciteranno in modo più energico ed urgente?

Continuiamo:

“Ciò non significa in alcun modo che le azioni minoritarie debbano evitarsi: al contrario. Sia quando non possono avere che un valore esemplificativo, come quando possono avere una parola decisiva nella lotta armata e nella preparazione del processo di liberazione delle masse. Però è necessario che ciò avvenga come qualcosa di interno all’educazione politica del proletariato e non come sviluppo di un’organizzazione per preparare un assalto contro la dittatura e il capitalismo.

“È proprio questa prospettiva quella che manca nell’attivismo dell’ETA-V e in quest’azione in particolare”.

(“Zutik”, n. 62, gennaio 1974)

Questa è la maniera più abile, in tutto lo scritto, di eludere la questione, tergiversando completamente sul fondamento del problema. Colombo tentò di aprire un nuovo cammino per il commercio con il Lontano Oriente, e scoprì l’America. Una cosa è quella che si fa un’altra quello che ne consegue. Se la prospettiva dell’ETA in questa azione era corretta o no è un problema; se i suoi risultati sono stati o meno positivi è un altro. Quest’ultimo precisamente è la questione elusa.

D’altra parte se alcune azioni armate minoritarie sono positive, perché VI Assemblea-LCR non svolge questo compito?

Analizziamo:

“È certo – senza possibilità di dubbio – che la scelta del momento e il tipo di azione dell’ETA-V, nelle attuali condizioni di capacità del movimento, ha causato una paralizzazione delle lotte contro il Processo dei 1001; è certo che il significato di questo Processo era fondamentale per l’avanzamento della lotta di classe. Però la nostra critica all’ETA -V, non deve impedirci di vedere che il fattore principale dell’incapacità del movimento non è solo nella sua avanguardia”.

È certo che l’esecuzione di Carrero Blanco ha frenato le lotte in occasione del Processo dei 1001? Oppure ha frenato solo ciò che non aveva possibilità di mobilizzarsi.

Che la debolezza dell’avanguardia è stata causa fondamentale della mancata mobilizzazione è dir poco. È ora di smettere, da una parte, con il trionfalismo che segue ai momenti di mobilizzazione di massa; e, dall’altra, di attribuire a fatti esterni ciò che è determinato dalle parole d’ordine lanciate dalle avanguardie. È ora di riconoscere che la maggior parte delle mobilizzazioni di massa è stata spontanea, frutto del super sfruttamento a cui sottostà e non organizzata dalle avanguardie, come alcuni pretendono di affermare; solo che noi ci siamo limitati a camminare nella sua ombra e a rivendicarne i risultati. In questo modo si potrà avere una visione più realista della situazione sociale nello Stato spagnolo e nelle proprie forze, e una maggiore incidenza nei nostri compiti. Le uniche organizzazioni con una certa penetrazione nelle masse (fortunatamente sempre di meno) sono i partiti riformisti e revisionisti. Ma le masse possono sperare poco da questi perché essi non hanno fiducia in loro e le educano solo alla lotta per le rivendicazioni salariali. Chi semina grano non può sperare di raccogliere mele.

D’altra parte, il movimento rivoluzionario, così com’è: giovane, debole e diviso, non può avere un impianto apprezzabile. Non guadagneremo nulla con il trionfalismo, credendo che quando il treno si muove è perché noi abbiamo abbassato la leva; la verità è che quando il treno si è mosso si è mosso da solo e quasi sempre noi gli siamo andati dietro. E così, quando il treno è fermo, dobbiamo metterci in testa che, se con tutti i nostri sforzi non riusciamo a metterlo in marcia, non è la colpa di fatti esterni a noi, e ciò deve essere tenuto presente nella nostra autocritica.

Infine, l’ETA pensa che il Processo 1001 non avrebbe comunque prodotto mobilitazioni apprezzabili e quello che si debba giudicare adesso è se gli aspetti positivi dell’azione superano o meno l’ipotetico freno alla mobilizzazione.

Concludendo diciamo che tutta la critica di VI Assemblea-LCR è composta a base di “un poco di calce un poco di sabbia”. Si prendono diversi aspetti dell’azione e si criticano indipendentemente uno dall’altro, e in modo contraddittorio (positivo come rappresaglia, negativo come freno alla mobilizzazione di massa in occasione del Processo 1001). Però si evita costantemente una valutazione globale dell’azione, mettendo in relazione tutti i suoi apetti. La causa, cosciente o incosciente, di tale insufficienza critica è semplicemente l’opportunismo.

Valutarla negativamente significa automaticamente mettersi contro il popolo, inclusa la classe operaia, per la quale ha significato un doppio insegnamento (da un lato la distruzione del mito dell’inespugnabilità dell’apparato di potere fascista; dall’altro il riconoscimento della propria forza) e costituisce un’importante liberazione psicologica. Valutarla positivamente significa romperla con lo schema – da qualche tempo insostenibile – che l’ETA è un organizzazione piccolo-borghese e, pertanto, incapace di analizzare le sue azioni nella prospettiva della classe operaia. Coloro che affermano che l’ETA è un’organizzazione ideologica e politica eterogenea, si ostinano a negare che tale eterogeneità possa dar luogo nella pratica ad analisi e concretizzazioni che, per quanto slegate, possono risultare al servizio esclusivo della classe operaia. Infine, VI Assemblea-LCR, come tutte le organizzazioni “rivoluzionarie” (disgraziatamente) che esistono nello Stato spagnolo, si considera la migliore, l’unica adatta a dirigere la classe operaia nel processo rivoluzionario. D’altra parte, riconosce (citiamo le sue stesse parole) l’utilità di alcune azioni armate minoritarie (per quanto non dica quali). È quello che si chiama segreto professionale? Per ultimo, molto brevemente, tra le posizioni solidali, senza limitazioni, con l’esecuzione di Carrero Blanco, segnaliamo quella del Movimento Libertario spagnolo attraverso il giornale “Frente Libertario” (gennaio 1974).

“Per terminare l’anno la resistenza attiva – attaccata duramente in diversi posti, specialmente dopo la costituzione nel giugno passato del governo presieduto da Carrero – non poteva sperare migliore ricompensa. Sentimentalmente si sarebbe potuta desiderare l’eliminazione – tante volte perseguita e mancata – del responsabile massimo delle disgrazie nazionali, il traditore Franco; ma politicamente è oggi di maggior rilievo quella del suo braccio destro e designato successore, l’Ammiraglio. Considerando in questo modo l’azione e senza aspettare l’uscita del presente numero, nel momento in cui si venne a conoscenza del fatto la nostra redazione diresse alle agenzie di stampa straniere il seguente comunicato:

“Frente Libertario, portavoce anarcosindacalista dell’emigrazione ed espressione militante del Movimento Libertario che agisce in Spagna solidarizza e saluta con effusione gli autori dell’attentato effettuato contro Carrero Blanco.

“In opposizione alle contemporanee dichiarazioni del PCE e di altri gruppi politici che si pretendono rappresentanti dell’opposizione,intendiamo e proclamiamo che questa esecuzione costituisce un atto liberatorio per tutta la classe operaia e per tutti i popoli oppressi dello Stato spagnolo.

“Nell’abbattere Carrero Blanco, i responsabili dell’attentato hanno attaccato direttamente Franco, la Polizia e l’Esercito, provando così che non ci può essere “pace civile” in Spagna con un potere dittatoriale fondato su di una concezione ultra-autoritaria dell’ordine.

“Viva pertanto l’azione diretta contro il franchismo!”.

Note

(1) Intendiamo tre forme di violenza:

a) Violenza difensiva. È il caso dello scontro a fuoco di Galdákano due anni or sono. Un gruppo di militanti uccide una Guardia Municipale e ferisce una Guardia Civile che tentava di arrestare due compagni.

b) Violenza di rappresaglia. La polizia franchista ferisce e arresta un militante a Iruña e in risposta un commando uccide ad Azpeitia il Responsabile del Servizio di Investigazione Politico-Sociale della Guardia Civile della zona. Uno degli obiettivi era di avvertire le forze repressive dello Stato che ad ogni colpo contro l’Organizzazione si sarebbe risposto duramente. In questo modo le forze repressive è probabile che riflettano di più prima di esercitare le proprie funzioni. Questo tipo di violenza può essere considerato come di difesa organizzativa. L’esecuzione di Carrero Blanco, come è spiegato in questo documento, non corrisponde esclusivamente, e in modo fondamentale, a tale tipo di violenza; però essendosi verificati recentemente diversi assassini di nostri compagni, si potrebbe benissimo pensare di sì; poiché il Sig. Leizaola nelle sue dichiarazioni non nega implicitamente la possibilità di utilizzare questa forma di violenza e, rapportandosi alle norme giuridiche del diritto borghese, riconosce come lecita per i “Baschi” (rispetto agli altri popoli non dice nulla) la violenza compresa nel concetto di difesa personale.

c) Violenza offensiva. È quella praticata seguendo le necessità segnalate da una strategia diretta a conseguire la sconfitta del nemico. Include le forme di violenza precedenti, la cui funzione è tattica ampliandole in altre diverse. È in questa che si inquadra fondamentalmente l’esecuzione di Carrero Blanco.

L’oligarchia spagnola intende non solo arrestare e uccidere i militanti rivoluzionari ma pratica metodicamente e in accordo con la propria strategia, la violenza contro il Popolo basco sfruttandolo e opprimendolo. È in conseguenza di ciò che si rende necessaria nel popolo una strategia di liberazione che includa necessariamente (per avere successo) la violenza offensiva.

Insomma, condannare qualsiasi tipo di violenza popolare nella sua brutale necessità è una dimostrazione di chiara incapacità (da parte di chi la condanna) di uscire dalle prospettive ideologiche della classe sfruttatrice. I popoli non praticano la violenza per il gusto di farlo, ma vi sono spinti dalla necessità di acquistare il diritto umano: diritto alla libertà e alle relazioni sociali. La violenza popolare si produce unicamente come risposta all’oppressione e in qualsiasi sua forma difensiva, di rappresaglia o offensiva, è sempre difensiva di fronte alla violenza istituzionalizzata della classe sfruttatrice, ed è pertanto completamente legittima.

Negare al Popolo basco, come fa il Sig. Leizaola, la possibilità di utilizzare la violenza in tutte le sue forme equivale a negargli la possibilità di liberarsi: e chi si comporta in questo modo non merita altro appellativo che quello di traditore.

(2) Allo scopo di evitare erronee interpretazioni dobbiamo precisare che l’ETA ritiene che la lotta di classe in Euskadi, oggi, riguardi il conflitto con l’oligarchia monopolista (spagnola) e il popolo basco, concetto quest’ultimo che include la classe lavoratrice e i congiunti settori sociali con interessi anti-monopolistici di Euskadi. Ma tale riconoscimento non implica da parte dell’ETA la rappresentazione e la difesa degli interessi di tutto il popolo basco, salvo nei periodi e nei casi concreti in cui questi coincidano con quelli della classe lavoratrice, l’unica che l’ETA intenda rappresentare e difendere per la sua condizione di classe più sfruttata, oppressa, numerosa e unica, e, per la sua situazione storica, capace di far progredire la società basca, eliminando nel seno di questa ogni antagonismo nazionale di classe e ogni sfruttamento dell’uomo sull’uomo in tutte le sue forme.

(3) Qualcuno potrebbe pensare che la morte di Carrero Blanco poteva servire da pretesto per un colpo di mano dell’estrema destra, con conseguente indurimento del regime fascista. Di fatto alcune indicazioni sembrano confermare questa eventualità indicando il Direttore Generale della Guardia Civile, Tenente Generale Iniesta Cano come sostenitore della tendenza in questione.

Però, che base sociale può avere l’estrema destra in Spagna oggi? La sua conquista del potere guadagnerebbe all’opposizione politica anche alcuni settori dell’oligarchia, increduli di fronte all’utilità del fascismo, spinti verso una maggior liberalizzazione invece che ad un indurimento, dalle loro necessità economiche.

Insomma un regime politico di estrema destra potrebbe provocare rapidamente un nuovo golpe, ad opera del settore liberale dell’oligarchia, seguito da una fascia del popolo, con conseguenti possibilità rivoluzionarie.

Logicamente l’estrema destra non conta forze sufficienti tra i militari per andare al potere.

(4) Alle conseguenze politiche citate potrebbe opporsi la paralizzazione causata nella mobilizzazione di massa che doveva realizzarsi nell’occasione del Processo 1001. Ma, che cosa esiste di reale in questa obiezione?

Il settore delle Commissioni Operaie, controllato dal PCE tentò un sondaggio in forma di una giornata di lotta (12 dicembre) col motivo di una lotta per l’aumento del costo della vita, contro il congelamento dei salari ecc. Il risultato lo conosciamo tutti. Esso non si può imputare in alcun modo al popolo spagnolo che negli ultimi anni ha dimostrato largamente la sua combattività con mobilizzazioni spontanee, ma, al contrario, ai frutti del riformismo che impegna tutte le sue forze per sviare i popoli dal retto cammino.

Pertanto, l’esecuzione di Carrero Blanco ha paralizzato qualcosa che non aveva possibilità alcuna di mettersi in marcia in quel momento. Il suo bilancio è altamente positivo.

Estratto dal “Bollettino di informazione” n. 7/74 della polizia spagnola diretto alla P.I.D.E. (Polizia politica portoghese)

Durante l’assalto al quartier generale della polizia politica portoghese (P.I.D.E.) nel corso dei fatti che determinarono la caduta del regime fascista di quello Stato, fu trovato in un armadio segreto del Direttore, il seguente bollettino informativo, che riproduciamo in estratto nella parte che riguarda appunto l’attentato a Carrero Blanco. Altri documenti informativi, provenienti dalla Spagna, dal Sud-Africa e dal Brasile, vennero trovati nello stesso posto.

Assassinio dell’Ecc. Sig. Presidente del Governo Ammiraglio Don Luis Carrero Blanco da parte dei terroristi dell’ETA-V Assemblea.

I fatti

L’assassinio e la sua preparazione

Alle ore 9:30 del 20 dicembre scorso, si produceva una violenta esplosione in via Claudio Coello, a pochi metri dall’incrocio con via Maldonado, che colpiva l’automobile “Dodge Dart”, matricola PMM 16416, occupata dall’Ecc. Sig. Presidente del Governo Ammiraglio Don Luis Carrero Blanco e di coloro che lo accompagnavano: Ispettore di polizia Don Juan Antonio Buano Fernández e dell’autista del parco automobili del Ministero Don José Luis Pérez Mojeda.

L’intensità dell’esplosione era tale che il pesante “Dodge” saltava per aria, strisciava sul tetto del palazzo dei Gesuiti, andando a cadere sul balcone del secondo piano dello stesso edificio sovrastante il cortile interno.

L’esplosione colpiva anche la vettura di scorta del Presidente, occupata dagli Ispettori Don Rafael Galiana del Rio, Don Miguel Alonso de la Fuente e l’autista; i tre risultavano feriti (più grave il primo e meno grave gli altri due), un taxi (il tassista riportava gravi ferite), come pure diverse persone, che si facevano curare lesioni di diversa entità. Una ventina di vetture vennero gravemente danneggiate come pure molte abitazioni della via Claudio Coello e altre vicine.

Quando si dilagò la nube di polvere si potè vedere la larghezza del buco dell’esplosione. Quelli della vettura di scorta, feriti, cercarono la vettura scomparsa del Presidente, che fu ritrovata con grande meraviglia nella terrazza interna dell’edificio dei Gesuiti.

Immediatamente soccorsi i suoi occupanti – il Presidente, l’Ispettore di polizia e l’autista – furono trasportati urgentemente alla Città sanitaria “Francisco Franco” dove arrivavano cadaveri il Sig. Carrero Blanco, il Sig. Buano Fernández e dove moriva tre ore dopo l’autista Sig. Pérez Mojeda.

Nello stesso Centro sanitario vennero curate le altre persone ferite.

Nella strada si produsse un enorme buco di dodici metri di diametro e diversi metri di profondità con conseguente rottura delle condutture di gas e acqua. Tutto ciò, insieme alla confusione dei primi commenti impedì di determinare subito l’origine e la causa dell’esplosione, ma una volta eliminate le macerie davanti alla casa n. 104 di via C. Coello, si constatò che in un seminterrato della stessa casa era stata praticata una stretta galleria, perpendicolare all’edificio, fino al centro della strada, a un metro e mezzo di profondità. Si vide che esistevano anche una serie di fili elettrici che seguivano la linea telefonica lungo tutto il palazzo fino all’angolo con via Diego De Léon.

Le ricerche vennero facilitate fin dai primi momenti dai tecnici dell’Artiglieria, che provarono come la galleria suddetta fosse stata costruita per collocare una carica di esplosivo di alta potenza, difficile da determinare su due piedi; che lo scavo era avvenuto lentamente ed era durato molto tempo, che l’accensione era avvenuta mediante un cavo elettrico, che la carica era stata collocata in senso longitudinale, che per il sistema impiegato si poteva essere sicuri che gli autori erano gente specializzata in questo genere di cose, e che il peso della carica situata al termine della galleria si poteva calcolare in 250 kg. di dinamite.

Per non sbagliare l’attentato e obbligare l’auto del Presidente a passare nel centro della strada, esattamente di fronte al punto dove era stata collocata la carica, gli autori avevano piazzato l’auto di marca “Austin” 1300, che fu tra le più danneggiate e che venne immediatamente ritirata dalla Polizia Municipale. Nell’esaminarla si trovò nel portabagagli un bidone di plastica contenente un prodotto identificabile facilmente come “plastico-esplosivo” per circa 8 kg.

Investigazioni poliziesche

Si iniziarono subito partendo dal seminterrato di via Claudio Coello 104, luogo dove fu scavata la galleria e piazzata la carica. Detto seminterrato qualche tempo prima si trovava in vendita e venne acquistato da un soggetto fornito del documento di identità n. 2621463, rispondente a Roberto Fuentes Delgado, maggiorenne, celibe, abitante a Madrid, via Mirlo n. 1, con un anticipo di 80.000 pesetas e con impegno di pagamento rateale per il resto.

Dopo l’occupazione della casa si incominciarono a sentire dei rumori piuttosto forti e continui, ma la portiera ne dedusse che si trattava di qualche lavoro di modifica o riparazione e ne parlò anche ai vicini di destra che erano quelli più molestati dai lavori; poi si decise di verificare che cosa si stesse facendo e cercò di guardare attraverso una finestra che dava sulla stessa via Claudio Coello, ma questa era oscurata da una coperta, mentre le altre finestre, controvento, restavano sempre chiuse.

La sera del 18 dicembre il soggetto che abitava il seminterrato informò la portiera che qualche ora dopo sarebbe venuto un elettricista. Quando questi arrivò entrò direttamente con una chiave di cui era provvisto e dopo qualche minuto ne uscì dicendo alla portiera che sarebbe ritornato il giorno dopo. Effettivamente il 20 alle ore 20:30, il suddetto personaggio arrivò munito di una scala e la portiera non sa precisare quanto tempo restò nel seminterrato.

Secondo le dichiarazioni della portiera l’acquirente del seminterrato aveva dichiarato di essere uno scultore e in tal modo aveva giustificato i colpi ripetuti, in quanto affermava di stare realizzando un lavoro. La portiera e suo marito sono d’accordo che, qualche volta, si sentiva attraverso la finestra del cortile uno strano odore; anche i vicini sono d’accordo su questo punto.

Dopo un attento esame, in forma categorica e senza alcun dubbio, i portieri affermano che la persona da loro conosciuta come Roberto Fuentes Delgado corrispondeva alle fotografie... (si evita di pubblicare il seguito per motivi di sicurezza).

Informazioni tecniche

Intorno al luogo dell’avvenimento e caratteristiche dell’esplosivo

1) Dati raccolti. Sul luogo dell’esplosione si osserva un cratere di forma ellittica i cui lati sono di 19 e 9 metri. La profondità è di circa 2,50 metri.

Nel seminterrato si trova l’entrata della galleria che ha consentito il collocamento della carica esplosiva. La galleria è lunga sei metri con una sezione rettangolare di m. 0,80 x 0,60.

Nel detto seminterrato sono stati trovati resti di materiale esplosivo: miccia lenta, miccia rapida e contatti elettrici; come pure il materiale usato per i lavori di scavo: pile elettriche, una lanterna ecc.

Dalla porta d’ingresso parte un cavo elettrico doppio, sezione di 2,50 mm. che si ritiene utilizzato per l’esplosione.

Detto cavo è teso per tutta la strada Claudio Coello in direzione Diego de Léon dove si trova il sistema di accensione utilizzato consistente il due pile da lampada tascabile di 1,5 w., messe in serie con un interruttore di quelli normali impiegati per le installazioni elettriche nelle case.

Nel punto finale, appoggiata alla parete, si trovò una scala leggera di quella impiegata dagli operai telefonici o della compagnia elettrica, che dovette servire da punto di osservazione per determinare l’accensione. Ugualmente si trovò una borsa di elettricista, con materiale diverso.

Studiando il buco prodotto dall’esplosione e la zona circostante non si è potuto identificare il tipo di esplosivo impiegato, in quanto il buco si era riempito immediatamente dell’acqua uscita dalle condutture rotte, formando una specie di fango. Una speciale analisi della terra ha potuto accertare certe conclusioni.


2) Conclusioni dedotte – Dai punti suddetti e dalle osservazioni relative si è arrivati alle seguenti conclusioni:

a) La preparazione dell’attentato è stata pianificata e studiata minuziosamente, compreso un punto di riferimento, fissato nella parete opposta al luogo dell’esplosione, che è servito per determinare il momento esatto in cui la stessa doveva effettuarsi.

b) I lavori attuati per ottenere quanto sopra sono stati ampi e laboriosi. La dimensione della galleria permetteva il lavoro di un solo uomo e con grande limitazione di movimento. La terra estratta si calcola intorno a tre metri cubi di volume.

Ciò permette di concludere che la realizzazione della galleria è stata fatta da persona o persone pratiche di lavori analoghi (miniere, ecc.).

c) Allo scopo di avere una maggiore sicurezza nei risultati, l’esplosivo è stato collocato in modo da fornire una carica allargata, lunga da 6 a 8 metri, in direzione della marcia del veicolo, e larga 1,50 metri; la qual cosa rende sicuri che la circolazione del veicolo venne studiata qualche tempo prima. Nonostante ciò il veicolo fu preso di lato, come dimostra la traiettoria dello spostamento.

d) Sia conoscendo o non conoscendo l’esplosivo impiegato non sarebbe stato lo stesso possibile determinarne la quantità. Nonostante ciò e a scopo esclusivamente orientativo, si deve calcolare a 200 Kg. di tritolo in cinque cariche di circa 40 Kg. ciascuna. La stessa carica trasformata in plastico equivarrebbe a circa 190 Kg. di “XP”, utilizzato dall’esercito o a 304 Kg. di dinamite normale.

e) Venne utilizzato un sistema di accensione elettrico, mediante un’esca elettrica a pile.

Note riguardo l’esplosivo trovato nella vettura “Austin” 1300 m-893948.

1) L’esplosivo contenuto nel cofano di questa vettura era in un recipiente di plastica di 20x18x28 cm., con bocca circolare di 9 cm. di diametro, pieno circa per 2/3 e del peso di 9,250 Kg.

2) All’esame organolettico si è visto trattarsi dell’esplosivo di tipo “Goma”, considerato come esplosivo plastico, di colore giallo scuro, con venature marrone, odore di mandorle amare e una essudazione apprezzabile.

Era stato messo lì come un recipiente vuoto, in una scatola di cartone a forma di piramide quadrangolare.

3) In funzione delle informazioni dell’esame organolettico e di altri elementi di analisi, si può ritenere un esplosivo plastico di tipo “Goma”, di fabbricazione privata o domestica, oppure di un esplosivo di fabbricazione normale che si presenta anche in cartucce.

Le relative analisi hanno dato la seguente composizione dell’esplosivo:

Nitrato ammonico 59,88%
Nitroglicerina (probabile Nitroglicol) 27,76%
Nitrocellulosa 1,35%
Dinitrotolueno e trinitrotolueno 5,87%
Segatura e residui insolubili 2,60%

Detta composizione coincide significativamente con quella dell’esplosivo “Goma” 2 E-C (denominazione ufficiale Gelatinoide 1-D) fabbricato dall’Unione Spagnola Esplosivi e la cui composizione è la seguente:

Nitrato ammonico 61,50%
Nitroglicerina/Nitroglicol 28,00%
Nitrocellulosa 1,20%
Dinitrotolueno 7,00%
Farina di legno 2,30%

Nota redazionale di “Anarchismo”

La lotta di liberazione nazionale in molte parti del mondo è oggi una realtà che non può essere trascurata. Il dramma del popolo palestinese, la lotta dei Baschi e quella dell’Irlanda del Nord, i movimenti rivoluzionari dell’America Latina, ripropongono continuamente il problema. In che modo una rivendicazione nazionale, posta sul piano della liberazione del territorio dall’occupazione straniera, può essere considerata l’anticamera di una lotta di liberazione più ampia che costituisca la base per la futura società del domani?

“Fin quando ci sarà in Europa una sola nazione perseguitata, il trionfo decisivo e completo della democrazia non sarà possibile in nessuna parte. L’oppressione di un popolo o di un semplice individuo è l’oppressione di tutti, non si può violare la libertà d’uno solo senza violare la libertà di tutti”. (Michail Bakunin).

“[...] Mi sembra che il carattere nazionalista dei movimenti di emancipazione nazionale non esista. Vi sono sempre dei motivi economici, cioè in effetti è la libertà e il rispetto dell’uomo che sono in questione [...]. Il nostro compito deve essere quello di risolvere i problemi economici. Io ritengo, dopo aver lungamente riflettuto su questa questione, che lo scacco dei movimenti nazionali in Polonia, in Finlandia, in Irlanda e in Georgia, dipenda dal fatto che ogni volta il problema (sempre problema agrario) è stato dimenticato [...]. In Irlanda, la difficoltà principale risiede nel fatto che i capi del Movimento, grossi proprietari, hanno svuotato il movimento di emancipazione nazionale del suo contenuto sociale [...]. In breve, mi pare che, in ognuno di questi movimenti di emancipazione nazionale, ci è riservato un compito importante: porre il problema sotto il suo aspetto economico e sociale, e questo parallelamente alla lotta contro la dominazione straniera [...].

“Ovunque gli uomini si rivoltano contro l’oppressione individuale, economica, statale o religiosa, e, a maggior ragione, nazionale; il nostro dovere è di essere al loro fianco [...].

“Non sottovalutate l’importanza di questi movimenti di emancipazione nazionale. Il loro tempo non è ancora passato e quindi dobbiamo parteciparvi [...]”. (Pëtr Kropotkin).

I due pensatori anarchici riflettono sul problema della liberazione nazionale in termini di lotta di classe, intuendo che solo con la vittoria della classe degli sfruttati si potrà risolvere la questione nazionale. Kropotkin vede la possibilità di superare la fase della costruzione dello Stato nazionale nel contenuto di classe che può essere dato ad essa, specialmente attraverso l’apporto degli anarchici. Bakunin lottò a lungo, in tutte le rivolte nazionali della sua epoca, nella prospettiva della grande confederazione slava, che nel suo pensiero prendeva la forma di un primo passo verso l’edificio federale europeo.

Oggi la totalità, o quasi, delle lotte di liberazione nazionale, hanno una caratteristica di classe, sebbene predomini all’interno del movimento rivoluzionario l’impostazione marxista. Come è possibile vedere dal testo e dai documenti pubblicati, anche l’ETA non sfugge a questa realtà. Direttamente non ci risultano presenze libertarie militanti organizzate all’interno di questo, e degli altri, raggruppamenti indipendentisti baschi.

Ma l’analisi di classe ci pare esatta. Esatta l’interpretazione dello sfruttamento coloniale della minoranza etnica come condizione dello sviluppo capitalistico. È proprio attraverso la formazione di zone “depresse” che lo Stato capitalista crea i suoi sbocchi, garantendosi la realizzazione del plus-valore attraverso una concentrazione di capitale (nelle zone più sviluppate) che non sarebbe stata possibile in assenza del sottosviluppo. L’industrializzazione e lo sviluppo armonici di uno Stato non sono possibili per il capitalismo (cosiddetta legge dello sviluppo ineguale).

Esatta l’analisi che trasporta questo fenomeno sul piano internazionale (terzo mondo) vedendo la continuazione del colonialismo nell’attuale fase imperialista. In questo modo la ristrettezza logica di una lotta nazionale (ridotta ad un regolamento di conti tra colonizzatori e colonizzati), e che giustificherebbe la creazione di uno Stato nazionale con la direzione in mano alla borghesia, viene superata nell’individuazione del nemico “effettivo”, che non è, nel caso dei Baschi, la borghesia spagnola soltanto, ma la borghesia spagnola, francese, inglese, tedesca, italiana, americana, ecc.

Esatta l’analisi dei legami che uniscono la borghesia spagnola alla borghesia internazionale. Ad esempio la scarsa chiarezza di questo problema ha danneggiato moltissimo la lotta dei Palestinesi.

Esatta ancora l’identificazione di cultura etnica e cultura degli sfruttati. Rifiutato il binomio territorio-lingua in senso stretto, l’ETA affronta il problema della cultura minoritaria come cultura di classe, da dove risulta logica la sua componente rivoluzionaria. A questo proposito sarebbero interessanti dei raffronti con le esperienze anarchiche dell’Ucraina maknovista e della Catalogna del 1936.

“Noi [anarchici], lo dico qui a Madrid e se necessario lo ripeterò a Barcellona, ci siamo opposti e ci opporremo sempre a quei signori che pretendono monopolizzare la politica catalana, non per ottenere la libertà della Catalogna, ma per poter meglio difendere i loro interessi di classe; quei signori sempre pronti a non ascoltare le rivendicazioni del proletariato catalano [...]. Se essi pensano che gli interessi della classe agiata siano in pericolo si presentino pure a Madrid per offrire i loro servigi ad una monarchia accentratrice”. (Angel Pestaña).

Resterebbe il problema del perché non sia possibile individuare, al momento, una chiara componente anarchica all’interno di questi movimenti di liberazione nazionale, e dell’ETA in particolare. Ma si tratta di un problema che riporterebbe il discorso sulle nostre carenze e limitazioni. Poiché è un discorso che continuiamo da molto tempo (qualcuno ci ha anche accusati di insistervi troppo) questa volta evitiamo di farlo. Potremmo anche, ma sarebbe una soddisfazione assai magra, riportare passi “sacri” del marxismo decisamente contrari ad ogni tipo di emancipazione nazionale, passi confinanti con il più bieco nazionalismo. Scegliamo solo una piccola perla per gli appassionati di queste cose.

“I Cechi fra i quali noi contiamo i Moravi e gli Slovacchi [sic!] non hanno mai avuto storia [...]. Questa “nazione” inesistente dal punto di vista storico esige l’indipendenza? È inammissibile dare l’indipendenza ai Cechi poiché allora la Germania dell’Est avrebbe l’apparenza di una pagnotta rosicata dai topi.

“L’odio dei Russi e la prima passione rivoluzionaria dei Tedeschi e, adesso, l’odio dei Cechi e dei Croati, finiscono per incrociarsi. La rivoluzione può essere salvata solo con l’attuazione di un deciso terrore contro i popoli slavi che per le prospettive della loro miserabile ‘indipendenza nazionale’ hanno venduto la democrazia e la rivoluzione [...]. Di questo tradimento infame e vile ci prenderemo un giorno sugli Slavi una sanguinosa rivincita”. (Karl Marx).

 
 

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