Pierleone Porcu

Contro la tecnologia nucleare

      Nota introduttiva alla seconda edizione

      Introduzione alla prima edizione

    Contro la tecnologia nucleare

      La nube radioattiva

      Critica radicale

      Gli illusionisti della politica

      La prospettiva di classe

      Uno strumento di controllo e di ricatto

      L’informazione

      Analisi del fronte antinucleare

      La recente manifestazione a Trino Vercellese

      Una parentesi

      L’illusione delegittimante

      Le forze antagoniste

      L’anarchismo informale

      La demagogia tardo-stalinista

      I non violenti

      La fine dei vecchi ruoli sociali

      Conclusioni provvisorie

    Appendice

      Movimento autonomo di base ferrovieri del compartimento di Torino. Organizzazione del nucleo autonomo di base

        A – Caratteristiche del Nucleo Autonomo di Base:

        B – Metodi.

        C – Prospettive.

      Documento organizzativo delle strutture astensioniste zonali

        A) – Caratteristiche.

        B) – Principi generali.

        C) – Metodi.

        D) – Prospettive.

        E) – Il Coordinamento.

        Conclusione.

      Documento organizzativo delle Leghe Autogestite di Comiso

        A – Caratteristiche della Lega.

        B – Princìpi generali.

        C – Metodi.

        D – Prospettive.

        E – Il Coordinamento.

Nota introduttiva alla seconda edizione

Datato? Penso di no. Su alcune sfumature, citazioni e aspetti contingenti, di certo è datato, questo scritto, ma che importa quando è della sostanza rivoluzionaria che dobbiamo preoccuparci?

Ecco perché lo ripresentiamo.

Poco loquace, come ben si avvedrà il lettore accorto, presenta tutta la gamma dei problemi di una lotta contro gli obiettivi, di volta in volta, messi in campo dalla repressione, ieri il nucleare, oggi l’Alta Velocità o la riduzione delle pur minime possibilità di respiro.

Ed è netta la conclusione a cui arriva, nessuna collaborazione con le varie gamme dello schieramento (apparentemente) contrario e (in sostanza) favorevole allo Stato. Pacifisti, voltagabbana dell’anarchismo con guanti e conto in banca, vetero-tutto in balia di se stessi e delle nostalgie di conquista del potere, facitori di strade alternative alla produzione, sognatori delle violenze di un’ora e di un ritorno a casa con la coda nel solito posto, teorizzatori di combutte politiche (immaginate) transitorie, venditori al dettaglio di titoli nobiliari da incollare ai labari della nuova resistenza. Insomma il solito circo degli oltranzisti a chiacchiere o a violenze senza un progetto e una seria riflessione rivoluzionaria.

E questo circo sta ancora in piedi, e porta in giro per il mondo le sue colorite rappresentazioni. E del progetto che si sarebbe dovuto vedere al di sotto di tanta indignazione o di tanto sferragliare di botti? Poco più di nulla. L’insurrezione non è, per gli anarchici, un progetto che si può commercializzare, sia pure temporaneamente, con componenti politiche che non ci appartengono, che nulla hanno mai avuto a che vedere con le nostre idee, le nostre realizzazioni e i nostri sogni, ma che, al contrario, molto hanno avuto a che vedere con l’incubo della conquista del potere.

Spezziamo questo cerchio ridicolo e penoso. Non portiamoci dietro, nelle nostre attività insurrezionali, una zavorra che prima o poi farà vedere il proprio contenuto di putredine.

Attacchiamo, con la gente, se possibile, o da soli, se non è possibile. Ma attacchiamo. Il resto è solo illusione transitoria.

Il presente libretto propone solo questo, e la sua lontananza nel tempo non ne intacca lo smalto e la veridicità.


Trieste, 31 gennaio 2012

Alfredo M. Bonanno

Introduzione alla prima edizione

Se fossimo afflitti da quell’odiosa abitudine che si riassume nella frase: “l’avevamo detto”, i recenti avvenimenti dell’attacco USA contro la Libia e dell’esplosione di Chernobyl, ci darebbero moltissime occasioni di far sentire la nostra voce.

Ma a cosa servirebbe?

Praticamente a ben poco. Cosa significherebbe tornarsene a Comiso e parlare alla gente ricordando, puntualmente, tutti gli argomenti che a suo tempo – quando ancora era possibile occupare e distruggere la base missilistica – avevamo sviluppato in tutti i dettagli? Praticamente a ben poco.

Lo stesso per le centrali nucleari. Quante volte avevamo precisato in passato, le tesi della pericolosità e le indicazioni operative su come cercare di impedire i misfatti della costruzione e dell’attivazione di queste strutture di morte? E quante volte avevamo indicato responsabilità, connivenze, interessi e imbrogli, di assertori della necessità dell’atomo e di falsi contrappositori?

Troppe volte, per ripetere ancora che “l’avevamo detto”.

Ci siamo sempre rifiutati di limitare l’azione rivoluzionaria al solo “dire”, alle belle dichiarazioni di principio o alla semplice “contro” informazione che si avviluppa nel proprio bozzolo anche per non cercare di andare avanti.

In questo senso tanti compagni trovano i propri alibi per continuare a non fare nulla e per avversare – sul piano pratico – tutti quelli che vogliono fare qualcosa. Le parole riempiono la bocca di questi compagni ma non li spostano di un metro quando si tratta di agire. Allora sono sempre in disaccordo. Per loro non è mai il momento. Bisogna sempre aspettare che la realtà dia segni di maturazione. E, nel frattempo, andare avanti con le solite dichiarazioni (belle e soddisfacenti) di principio che hanno il pregio di lasciare le cose esattamente come prima

Abbiamo visto all’opera questi compagni a Comiso, direttamente o manovrando le fila da lontano, dissuadere dall’attacco, inventare possibili alternative verso obiettivi diversi della base, sostenere che non era ancora venuto il momento di attaccare e occupare. Insomma fare di tutto per trasformare un tentativo insurrezionale in una delle solite manifestazioni platoniche di dissenso politico.

E questi compagni sono ancora pronti a dissuadere dall’attacco per spingere a pratiche di mediazione (come la lotta per l’amnistia), a rivalutazioni degli interventi pacifisti e non violenti (di stampo radicale o cristiano), a contrapposizioni fittizie (dichiarazioni periodiche e sempre uguali), ad azioni simboliche (obiezioni di coscienza, fiscali, e altro).

Eppure, questi compagni, non sono proprio dei peggiori. Ben altrimenti vanno le cose in quella parte del movimento che ormai si dichiara apertamente contraria alla rivoluzione e che intende trasformare l’anarchismo in una filosofia perbenista di educazione personale.

Naturalmente al peggio non c’è fine. Mentre il mondo va letteralmente a rotoli, mentre dappertutto si stanno sconvolgendo gli assetti di una realtà che fino a ieri assegnava ruoli abbastanza precisi e che lascia vedere, per un futuro a breve termine, uno sconvolgimento radicale con l’assegnazione di ruoli molto più rigidi, che costringeranno gli sfruttati in zone dello spazio sociale molto più ristrette e circondate dal silenzio della reciproca incomprensione; mentre tutto questo accade, qualcuno continua a baloccarsi con le dichiarazioni di sempre, con il solito volantino commemorativo, con i soliti festeggiamenti (o meglio con le solite onoranze funebri) del Primo Maggio, e così via.

Anche in occasione delle due situazioni più recenti: la guerra americana contro la Libia e il disastro di Chernobyl, ci si è limitati alla solita musica.

Ecco. Questo libretto propone una strategia diversa. Una strategia di attacco.

Non la propone, è certo, a coloro che ormai hanno fatto un alveo del proprio modo di non agire e in esso si nascondono nella speranza di stare sempre più comodi. Non la propone ai socialdemocratici che continuano a chiamarsi anarchici. Non la propone a chi considera ormai superata la rivoluzione. Non la propone a chi, pur riempendosi la bocca di parole rivoluzionarie, è in pratica un fautore dell’ordine e della legalità tutte le volte che si cerca di fare qualcosa, e ciò o per paura o per semplice imbecillità.

Ma questo libretto ha l’intenzione di parlare agli altri.

Esiste un’ampia fascia del movimento (non solo anarchico, per fortuna) che ha desiderio di agire. Ed è a questa fascia che rivolgiamo il nostro lavoro: la nostra analisi e il nostro progetto organizzativo.

Per attaccare occorre prima chiarirsi le idee. Farlo senza questo precedente approfondimento analitico sarebbe pericoloso. Come altrettanto pericoloso sarebbe continuare ad approfondire, tesi su tesi, senza passare all’azione.

Ci pare giunto il momento di vedere chiaramente chi sono i nostri alleati in questa lotta. Al di là delle sigle e delle ideologie. E questo è tanto più indispensabile e urgente quanto più anche all’interno del movimento anarchico ci sono compagni che, come abbiamo visto, tentennano, si accordano con il potere, o sono dichiaratamente socialdemocratici.

Molti dei compagni che provengono da esperienze di lotta, nel corso delle quali hanno avuto anche delle tragiche disillusioni, possono trovare nella nostra proposta un modo d’intendersi per l’azione. E ciò in netta contrapposizione con un clima di disinteresse o di tradimento che minaccia di diventare generalizzato.

Abbiamo ormai praticamente concluso il ciclo della controinformazione sui misfatti dello Stato e del capitale. Se dovessimo circoscrivere il nostro intervento alla lotta contro il nucleare – come punto di partenza e non come ghetto in cui rinchiudersi – la realtà, con la sua evidenza tragica, avrebbe praticamente azzerato ogni necessità di ulteriori chiarificazioni.

Adesso la gente sa!

Per agire occorre organizzarsi. In tutte le realtà che presentano una contraddizione più acuta, per una loro vicinanza alla produzione di energia nuclearizzata, o per la loro collocazione in zone strategiche militarmente sottoposte a particolari controlli, occorre proporre strutture antinucleari di base.

Come vedremo meglio nella breve appendice a questo libretto, la struttura antinucleare di base ha le caratteristiche dell’autonomia e della conflittualità permanente e si pone come nucleo di organizzazione di massa con lo scopo di creare le condizioni che possono consentire la realizzazione dell’occupazione, del blocco, o, almeno, della messa in crisi produttiva delle centrali nucleari.

Molte forze politiche si stanno muovendo (apparentemente) nella stessa direzione. Tutte queste forze hanno però ben poco di rivoluzionario. Esse si arresteranno davanti alla contrattazione a livello di potere o davanti alla semplice azione simbolica. Noi possiamo fare capire alla gente che è venuto il momento di una serie di azioni concrete contro queste strutture di morte. E possiamo anche fare capire che queste azioni, per la loro caratteristica rivoluzionaria, possono essere portate a buon fine solo con la presenza massiccia e compatta degli sfruttati. E possiamo anche fare capire che gli anarchici rivoluzionari saranno con loro, tra i primi, nella lotta.

In pratica è questo il lavoro che ci attende e a cui indirizzeremo una considerevole parte delle nostre future forze.


Catania, 27 maggio 1986

Alfredo M. Bonanno

* * * * *

Odio tutto ciò che minaccia il cammino minaccioso dell’uomo verso la libertà
Odio tutto ciò che ostacola questa delirante liberazione
Odio le parole che tradiscono la rivolta
Odio l’orrendo tradimento dei poeti
Odio la limitazione dei desideri tumultuosi
La poetizzazione della natura la poetizzazione di questo silenzioso cataclisma
Odio le donne linde come un bicchiere dal quale non si può mai bere
Odio la prudenza che falsifica il passo sicuro della lotta

Virgil Teodorescu

Contro la tecnologia nucleare

Il gravissimo disastro ecologico provocato dall’incidente nella centrale nucleare di Chernobyl, riapre con urgenza la necessità inderogabile di attuare una lotta totale contro la tecnologia dell’atomo.

È in questa prospettiva che si pone all’attenzione dei compagni un’ampia riflessione su quello che è stato in passato il movimento antinucleare nel suo dispiegarsi sociale come movimento di opposizione ai progetti planetari di nuclearizzazione perseguiti dagli Stati e dal capitale.

In questo momento il fronte di lotta al nucleare, appena ricostituitosi, ripresenta gli stessi errori, gli stessi limiti e le stesse insanabili contraddizioni di contenuti e metodi di lotta che portarono quello passato al dissolvimento.

La nube radioattiva

L’incidente di Chernobyl ha fortemente contribuito alla ricostituzione di un fronte di lotta antinucleare. La nube radioattiva ha svolazzato minacciosamente per i cieli di mezza Europa, rendendo radioattive le piogge che hanno poi contaminato il terreno provocando il panico fra le popolazioni colpite. Anche nelle zone meno coinvolte dal disastro si sono avuti effetti di panico fra la popolazione.

Tutto ciò ha contribuito notevolmente a indebolire la fiducia verso l’uso e lo sviluppo pacifico e benefico della tecnologia dell’atomo, per cui, allo stato attuale delle cose, ai vari governi è resa più problematica l’attuazione senza opposizione interna dei piani energetici basati sul nucleare.

L’estrema pericolosità della tecnologia dell’atomo è un fatto ormai acquisito anche dalla gente comune, la quale sa che non esistono misure adeguate di sicurezza e protezione civile in caso di incidenti nucleari, per cui, sostanzialmente, si è del tutto impotenti di fronte alle radiazioni.

Avendo preso coscienza di questa realtà, una gran massa di persone si è mobilitata contro il nucleare.

Da ciò deriva, per gli anarchici, la necessità, partendo da questo fatto, di costruire le condizioni favorevoli allo sviluppo di una lotta antinucleare di massa.

Critica radicale

Bisogna avere chiaro che lo scopo della nostra azione rivoluzionaria è quello di far prendere coscienza del fatto che non può esserci opposizione reale al di fuori dello scontro di classe. È proprio da questo conflitto che nasce l’esigenza di attuare una strategia di attacco contro tutte le strutture tecnologiche che ci dominano. Ciò sarà possibile sostenendo tutti quei processi di autorganizzazione sociale delle lotte e tutti quegli aspetti di vita autogestionaria legati alla pratica della azione diretta.

Per questi motivi abbiamo da sempre sostenuto la necessità della critica radicale contro tutti coloro che per non correre rischi, invitano i proletari a ripiegare le proprie istanze di lotta dentro gli ambiti dell’opposizione istituzionale. La delegittimazione, il pacifismo e la non violenza sono pratiche che servono ad alimentare il campo delle illusioni socialdemocratiche, le quali hanno il solo scopo di allargare il fronte dell’opposizione al nucleare su basi interclassiste e di collaborazione di classe con le istituzioni, a tutto detrimento dello sviluppo della lotta rivoluzionaria e delle potenzialità di rivolta degli sfruttati.

Gli illusionisti della politica

L’attuazione di un progetto di trasformazione globale dell’assetto societario, passa attraverso le ipotesi di lotta sovversiva che si situano fuori del quadro istituzionale e della logica mercantile del capitale. Diventa quindi logico andare contro chi propone referendum o altre consultazioni di tipo elettorale.

Costoro sono gli ultimi illusionisti della politica, i preti della democrazia che vorrebbero, con il nostro assenso, correggere superficialmente gli aspetti più brutali e violenti di questo sistema di dominio. In ultima analisi sono quelli che tendono a rivalutarlo e a conservarlo.

La loro esigenza conservativa li spinge a muoversi dentro il quadro delle contraddizioni istituzionali, per concorrere costruttivamente al loro sviluppo democratico. Così propongono ricerche di nuove tecnologie per lo sfruttamento di fonti alternative di energia non legate all’atomo. Il progetto ecologico di cui si fanno assertori – sia in generale che in dettaglio – è plasmato sulla conservazione degli attuali rapporti di oppressione e sfruttamento.

Non a caso questi illusionisti della politica collaborano dal basso con le strutture periferiche del controllo statale, intrattenendo rapporti con tutte quelle forze politiche che in sostanza sostengono il piano energetico nazionale basato sul nucleare.

La prospettiva di classe

La lotta al nucleare va inserita dentro gli interessi più generali dei proletari, interessi socialmente antagonisti alla struttura di dominio.

Questi interessi sono gli obiettivi da tenere presente in quanto non recuperabili dal potere e non la ricerca di obiettivi legati al possibile sfruttamento di fonti alternative di energia dirette a sopperire alle esigenze energetiche della produzione dei consumi di massa.

Solo battendo questa strada si potrà fare in modo che le condizioni sociali create dalla lotta facciano uscire il movimento antinucleare dalle secche del militantismo politico e dall’attivismo costruttivistico in cui una grossa parte di esso si dibatte.

Lo Stato potrà anche parzialmente soddisfare la richiesta di dare inizio a un piano energetico alternativo (energia estratta dal vento, dal sole, ecc.), quindi energia pulita, come vogliono gli ecologisti e i pacifisti. E tutto potrà anche essere presentato come una vittoria, ma non sarà altro che il documento delle debolezze e dei compromessi a cui il movimento è giunto. Questo risultato dimostrerà l’estrema impotenza di arrivare a uno sviluppo autonomo a prescindere dalle esigenze di ristrutturazione degli apparati di dominio e dimostrerà anche la miseria dei soggetti ancorati alla sopravvivenza e incapaci di pensare e promuovere diversamente l’azione sociale fuori degli ambiti tracciati dal pensiero statuale dominante e fuori dei modelli di economia sociale prodotti dal capitale. Il risultato sarà una maggiore forza raggiunta da questi ultimi invece di una maggiore debolezza.

Uno strumento di controllo e di ricatto

La tecnologia dell’atomo, nel suo produrre energia nucleare, fornisce al sistema di dominio un ulteriore formidabile strumento di controllo e di ricatto della popolazione: la radioattività. La possibilità sempre presente di radiazioni e contaminazioni radioattive dell’ambiente e della popolazione dove sorgono le megacentrali nucleari, alimenta e dà credito alla necessità della militarizzazione e del controllo sociale, per cui ogni misura restrittiva, interna ed esterna, appare giustificata dalla presenza del pericolo.

Gli interessi economici e le implicazioni politiche che derivano dalla tecnologia dell’atomo sono strettamente legati fra loro a tutto detrimento della popolazione, ma si presentano come un fatto positivo, agli occhi della popolazione stessa, perché quest’ultima subisce il ricatto ecologico della necessità di salvaguardare se stessa e l’ambiente circostante dai possibili disastri nucleari.

Tutte le misure imposte di restrizione e di controllo non sono certo rese necessarie dalla pericolosa presenza dei fautori della lotta contro l’atomo, ma sono insite alla logica stessa di sviluppo della tecnologia nucleare, la quale trova origine particolarmente dalla ricerca militare.

Il controllo terroristico esercitato non serve certamente a salvaguardare l’ambiente e la popolazione, ma ha lo scopo di indurre quest’ultima a recedere dall’intraprendere qualsiasi azione di protesta. Infatti, nessuna sicurezza è possibile in un processo di fissione nucleare. Si è sempre soggetti al rischio di un incidente che può tramutarsi in catastrofe ecologica, com’è già avvenuto, per l’appunto, a Chernobyl. [Più recentemente, marzo 2011, a Fukushima in Giappone].

Parallelamente all’aberrante logica di potere e di morte, sempre presente, promossa dallo Stato, si sviluppa e prospera la logica mercantile del capitale con le sue industrie della sicurezza e della protezione. Queste hanno di già un grosso mercato e presentano prodotti come: case rifugio antiatomiche, indumenti protettivi contro la contaminazione radioattiva, e tutto quello di cui si ha bisogno in caso di una catastrofe nucleare. In definitiva, questo settore della produzione costituisce un ulteriore elemento di controllo in quanto contribuisce a ridurre la sensazione di panico nella popolazione e a diffondere un certo senso di tranquillità, la quale, come abbiamo visto, è assolutamente illusoria.

Queste industrie vanno attaccate perché speculano sulla paura di milioni di uomini e ricavano da essa immensi guadagni, dando alla popolazione quella tranquillità che non esiste, allo stesso modo in cui le forze dell’ordine danno l’impressione di una sicurezza e di una protezione civile altrettanto inesistenti. In realtà, si tratta di camicie di forza che gli sfruttati devono scrollarsi di dosso.

L’informazione

Altro possibile terreno di attacco è quello diretto alla destrutturazione dell’informazione che viene trasmessa capillarmente dai mass media. Tale informazione è in realtà pura propaganda. Si parla dei rischi della radioattività e dei problemi della sicurezza ma si vuole essenzialmente invogliare le masse proletarie a stringersi attorno alle benevoli istituzioni democratiche, riconoscendo a quest’ultime il ruolo rassicurante del protettore.

L’inscindibile legame che unisce le tecnologie dell’informazione a quelle nucleari è dato dal fatto che le prime ricordano ai propri utenti passivizzati il pericolo sempre presente derivante dall’uso dell’atomo e la conseguente possibilità di una catastrofe nucleare. Tutto questo alimenta l’esigenza di una crescente e sempre più invadente statalizzazione della società che passa attraverso l’incremento di nuovi istituti di controllo periferico e attraverso l’aumento delle forze di polizia pubblica e privata. In questo modo, tutto finisce per riproporre all’attenzione la necessità e l’attualità del ruolo positivo svolto nei conflitti sociali dallo Stato democratico.

Di fronte alla catastrofe di Chernobyl il sistema informativo occidentale ha voluto dimostrare ai suoi sudditi tutta la sua forza e tutta la sua superiorità informativa rispetto al burocratico ed elefantiaco sistema russo di informazione, che ha scelto la via del silenzio e delle notizie con il contagocce. È stata una prova generale tra i due sistemi che si sono confrontati simulando come si sarebbero comportati in caso di catastrofe nucleare. Il risultato, alla prova dei fatti, è stato identico. Per i proletari dell’Ovest come per quelli dell’Est, la contaminazione radioattiva resta un fatto cui nessuna corretta informazione può porre rimedio. Un morto informato e uno disinformato non sono differenti tra loro. Almeno così ci sembra.

In Italia tutto si è svolto secondo quel rispetto delle regole che contraddistingue il sistema democratico informativo. La tragedia di Chernobyl è stata trasformata in un Grand Guignol radio televisivo. È avvenuto di tutto: dall’aver mandato in onda i pareri più contrastanti tra gli esperti, all’aver mostrato l’efficienza del governo che con solerte dovizia di particolari informava i suoi sudditi sulle inutili misure di protezione civile adottate allo scopo di evitare la contaminazione radioattiva. Alle fine partecipanti e spettatori si sono sentiti più soddisfatti e tranquillizzati.

La fredda logica della comunicazione di massa ha dimostrato così che per quanto ci si possa trovare a fare i conti con una situazione di emergenza che crea molti problemi informativi, alla fine si trova il modo di trarre vantaggio dalla difficoltà stessa. La sua intelligenza l’ha mostrato quando ha dato credito non solo a coloro che sostengono il piano energetico nazionale sul nucleare, ma anche a coloro che sostengono opinioni contrarie.

Si è così dimostrato che in una situazione democratica tutte le opinioni si equivalgono. In senso contrario, si è anche potuto vedere come dentro gli ambiti istituzionali non è possibile alcuna opposizione reale.

Bisogna cercare fuori dai canali della comunicazione di massa quelle forme di comunicazione diretta e orizzontale capaci di dare vita al dialogo autentico degli individui, i quali si parlano fra loro senza la mediazione degli strumenti tecnologici.

È così che intendiamo ribadire il concetto di riappropriazione diretta dei propri strumenti di comunicazione, contro la pratica di ripiego del prendere a prestito gli strumenti messi a disposizione dal potere.

Dobbiamo sabotare le strutture informative che ostacolano lo sviluppo delle libere relazioni fra individui, mantenendo con queste strutture un rapporto conflittuale permanente. Questo significa utilizzare tutte le forme di espressione dell’azione rivoluzionaria, rifiutando tutti i codici della falsificazione, da quelli scritti a quelli audiovisivi e anche a quelli orali, per ricercare, nella coerenza dei contenuti, operativamente, le forme e le espressioni più adeguate.

Giungere, in sostanza, alla distruzione di ogni strumento politico per arrivare a scoprire tutte le potenzialità sovversive di un discorso anarchico insurrezionalista le cui logiche di sviluppo informale non sono già date e quindi sono fuori delle parole d’ordine e degli slogan dei partiti che mirano alla conservazione o alla presa del potere.

Analisi del fronte antinucleare

L’attuale fronte antinucleare è destinato a disgregarsi. Al suo interno troppi interessi, contenuti e metodi di lotta sono in aperto antagonismo.

È quindi un’illusione il pensare possibile, su queste basi, una lotta unitaria contro l’atomo. Come si può conciliare il rifiuto di chi, pur criticando ideologicamente la necessità delle centrali nucleari come condizione dello sviluppo economico, ne richiede la limitazione sulla base delle insufficienti misure di sicurezza; con le posizioni di rifiuto totale non solo delle megacentrali ma della tecnologia stessa dell’atomo in tutti i campi della ricerca scientifica?

Bisogna accelerare questo processo disgregativo, prendendo parte attiva, perché una sua diversa futura ricomposizione a ben altri livelli qualitativi dipende dai contenuti e dagli obiettivi che sapremo indicare con chiarezza nel corso della lotta. Aspettare favorisce il processo di ricomposizione delle forze riformiste tese a salvaguardare la stabilità dello Stato. Non a caso il PCI, muovendosi in questa direzione, ha chiesto una pausa di riflessione.

La recente manifestazione a Trino Vercellese

Nel corso della manifestazione antinucleare tenutasi a Trino Vercellese il 10 ottobre scorso [1986], si è verificato un fatto decisamente positivo che, a nostro avviso, segna una tappa importante nello sviluppo della lotta al nucleare. Nel corteo erano presenti tutte le componenti del variegato fronte contro l’atomo. Non appena giunti all’altezza del bivio di Trino Vercellese (la manifestazione era partita da Casale Monferrato), cioè nella strada che si biforca e da un lato porta a Trino e dall’altro alla centrale nucleare, il corteo si spaccava in due tronconi distinti. Da una parte le forze politiche interclassiste ed istituzionali, le associazioni in difesa dell’ambiente e i comitati per la pace, i quali, tutti insieme, imboccavano la strada che porta al paese. Dall’altra, un grosso troncone del corteo, composto per lo più da anarchici e libertari oltre che da numerosi compagni che si riconoscono come antagonisti ai progetti di controllo dello Stato e del capitale, decideva di imboccare la strada che porta alla centrale nucleare.

Questa spaccatura ha reso evidente la diversità di contenuti, di metodi e di modi di rapportarsi contro gli apparati di dominio.

Una parentesi

Sempre riguardo ai fatti accaduti a Trino Vercellese nel corso della manifestazione dobbiamo purtroppo fare notare una triste realtà.

I compagni presenti, facenti parte del gruppo anarchico milanese “Ponte della Ghisolfa”, malgrado avessero preventivamente dato il proprio assenso per andare verso la centrale, giunti al bivio si sono tirati indietro preferendo continuare la manifestazione insieme a DP, FGCI, PCI, Lega ambiente, Comitati per la pace, invece di sostenere l’azione di tutti gli altri anarchici e libertari.

A nostro parere questa squallida presa di posizione è il frutto delle tesi – sostanzialmente socialdemocratiche – basate sul rifiuto dell’antagonismo, della conflittualità, della rivoluzione e sull’accettazione delle pratiche non violente della delegittimazione.

Da ciò appare chiaro come questi compagni – forse senza volerlo – finiscono per muoversi nell’ambito delle forze istituzionali.

L’illusione delegittimante

Dobbiamo smascherare quella tendenza presente nel movimento antinucleare, la quale, situando il raggio della propria azione nel quadro del sistema istituzionale, fa delle pratiche riformiste e conservative della delegittimazione, le sue armi preferite.

Il suo contestare la menzogna economica e ideologica della necessità delle centrali nucleari, serve unicamente per ancorarsi sul dettaglio, evitando le ragioni di una contestazione rivoluzionaria capace di creare un’opposizione globale ai progetti di controllo e di dominio attuati dallo Stato e dal capitale.

Pertanto, le pratiche di delegittimazione, oltre a non costituire un pericolo per il sistema, divengono procedimento di riconferma delle sue regole nell’ambito della produzione del consenso.

Il loro tentativo è, in ultima analisi, quello di favorire i processi di integrazione del movimento antinucleare nell’apparato istituzionale, offrendo la possibilità agli organi periferici dello Stato di invadere il campo dell’opposizione autonoma, là dove non possiede ancora un’influenza diretta.

Queste pratiche di delegittimazione hanno il compito di coprire le debolezze istituzionali che il sistema manifesta nel suo funzionamento burocratico. Esse sono mosse dalla paura dell’opposizione radicale, la quale con la sua azione, può distruggere i processi di riforma prima ancora che le forze dello Stato abbiano avuto il tempo di attuarli.

A questa logica del recupero non partecipano soltanto le forze della conservazione – partiti e sindacati – ma anche i pacifisti, i non violenti e gli ecologisti, che hanno fatto proprie le ragioni delle pratiche della delegittimazione.

Non importa che alcune di loro si dichiarino apertamente contrarie allo Stato. La realtà mostra come questo tipo di rifiuto sia in pratica un movimento di decomposizione di ciò che il sistema stesso vuole superare.

I sostenitori della delegittimazione, con le loro esperienze basate su modi di vita comunitari e alternativi, e su forme di produzione autonome da quelle dominanti, finiscono per essere piccoli modelli integrativi e alternativi capaci di fornire al potere ulteriori informazioni per meglio controllare e gestire dal basso tutti i processi di vita sociale e comunitaria promossi dagli stessi proletari. Un esempio sono le esperienze delle comunità terapeutiche di base per drogati, dei centri sociali che ieri erano autonomi e oggi sono integrati.

Non vogliamo negare la validità delle esperienze comunitarie o l’importanza del rifiuto della tecnologia dominante, come del desiderio utopico di costruire qualcosa di diverso. Vogliamo semplicemente ribadire che in assenza di un rapporto conflittuale, teso a creare momenti di rottura con il dominio, si finisce per esaurire e insterilire, nella coesistenza con il nemico di classe, quanto di buono può esserci nelle esperienze comunitarie stesse.

Le forze antagoniste

Sull’altro versante vi sono le forze antagoniste che vorrebbero imprimere alla lotta antinucleare un carattere più radicale, attraverso la messa in pratica dei concetti di autonomia, autorganizzazione e autogestione proletaria delle lotte. Queste forze vorrebbero dare all’intervento una base di azione diretta assumendo, in modo non più delegato, tutti i processi decisionali espressi nelle assemblee generali.

Si avrebbe così la fine di ogni forma di burocraticismo, di verticismo e di sovradeterminazione, realizzata dai gruppi dirigisti, come pure la fine di ogni strumentalizzazione politica. Sarebbero i comportamenti rivoluzionari espressi con l’assunzione individuale delle proprie responsabilità a modificare il precedente stato di cose.

L’anarchismo informale

In questa direzione si muove l’anarchismo informale, il quale, conservando la sua concettualità di fondo e i suoi princìpi, si libera delle forme del passato e dei progetti rivoluzionari cristallizzati. Nel suo svilupparsi crea condizioni sociali di non ritorno ai vecchi schemi dell’agire formalizzato, come quelli impiegati dalle organizzazioni di sintesi che si richiamano a una metodologia di massa simile a quella partitica (FAI-CNT).

Come anarchici rivoluzionari dovremmo impegnarci in questa direzione per far sì che molti di coloro i quali in teoria sostengono questi presupposti, abbiano una base coerente di azione sovversiva e insurrezionalista. Finora la loro pratica non è andata al di là del quotidianismo e dell’ideologia marginale, divenendo così facile preda dei vecchi ruderi del marxismo-leninismo.

La demagogia tardo-stalinista

I sopravvissuti gruppuscoli della dissolta area protopartitica dell’Autonomia Operaia, mutata la propria fraseologia e adottato un nuovo look, cercano di ricucire, con una demagogia spicciola, i mille fili del discorso rivoluzionario attuale, cercando di appropriarsi strumentalmente di contenuti e pratiche di lotta che sono a loro estranei, quali l’autonomia, l’autogestione, la azione diretta, ecc.

I militanti di questi gruppi vivono un gran senso di impotenza costretti come sono a tacere per ora le ragioni reali della loro azione, cioè quelle del partito, e a nascondere la loro mentalità stalinista di piccoli preti e di mediocri capi militari senza più un esercito proletario da guidare.

Non a caso la loro tendenza più attivista e radicale esalta il militarismo proletario, interpretando se stessa come quella parte che costringe lo Stato a dispiegare tutto il suo apparato repressivo in conseguenza della sua azione.

Vivono nell’illusione di credersi al centro di un processo di antagonismo sociale mentre il movimento di autoemancipazione proletaria reale li ha relegati al margine. Questo movimento si gioca la sua guerriglia sovversivamente su tutti i territori del vivere sociale, attaccando le strutture istituzionali e gli uomini del potere, partendo dal punto focale in cui si trovano situati i proletari stessi, e non ha alcun bisogno di delegare questo compito a moderni specialisti della guerriglia simulata. L’odio per farlo non gli manca di certo.

I non violenti

A coloro che rifiutano di affrontare la questione della necessità della violenza rivoluzionaria, ricordiamo che ogni rapporto sociale imposto è, di per sé, violenza. Le strutture che ci governano, che ci amministrano e regolano la circolazione e la vita degli uomini, sono violenza. Lo Stato e il capitale sono l’organizzazione della violenza permanente contro gli sfruttati. I pacifisti, i non violenti, gli ecologisti, che di fronte alla brutalità del potere, rispondono con la passività della denuncia verbale, manifestano la fiducia nell’umanità dell’aguzzino che si appresta ad assassinarli. Essi sono i primi a condannarsi, con i loro metodi, preventivamente, alla sconfitta. Vittime delle illusioni democratiche, del sacro rispetto del codice statale, dell’appellarsi alla legalità, con il loro comportamento danno la misura del terrore che hanno della violenza rivoluzionaria, votandosi così a subire quella quotidianamente somministrata dallo Stato.

Così, ogni volta che hanno finito di manifestare si sentono fieri della loro buona azione di contenimento e raffreddamento operata sugli animi eccitati dei manifestanti più esuberanti, in accordo con gli apparati di repressione statali che si sentono, proprio per questo motivo, tranquillizzati.

Questi apparati, a loro volta, contraccambiano il favore lasciando fare loro qualche azione dimostrativa e simbolica, per accontentare la piazza e farli sentire soddisfatti. Questi boy-scout della correttezza borghese, richiamano ai loro doveri civici i cittadini attraverso l’uso dei referendum consultivi, fanno campagne di opinione impostate sulla rinuncia all’azione rivoluzionaria e mettono tutta la loro disponibilità a profitto della legalità democratica lesa dai cattivi governanti. Tutto ciò che fanno è sempre e comunque nella logica evolutiva dell’adattamento e dell’aggiustamento sociale.

La fine dei vecchi ruoli sociali

La nostra esigenza di trasformazione radicale della società parte dall’esperienza e dai tentativi, piccoli o grandi, che facciamo attraverso le lotte insurrezionali che portiamo avanti. Nel farlo prospettiamo, praticamente, la fine della necessità del partito, dei centri direzionali e dei dirigenti che devono guidare la massa degli insorti.

È vero che tutti i partiti, cosiddetti proletari, sanno utilizzare e strumentalizzare la mobilitazione di massa, in quanto ciò fa parte del mestiere di politici professionisti, ma è anche vero che questo tentativo non può andare oltre certi limiti senza correre il rischio che la situazione sfugga di mano. Per questo, in partenza, essi regolano la partecipazione e la mobilitazione delle masse su obiettivi di dettaglio, riducendo il tutto a un intervento privo di rischi e con un esito scontato. Il loro discorso tende pertanto a coprire i contenuti e le espressioni autentiche della lotta rivoluzionaria.

Occorre evidenziare, davanti ai proletari, la loro cronica inefficienza essendo però in grado di proporre strutture autonome a prescindere dalla loro presenza. Occorre spingere gli sfruttati al di là del ruolo di comparse cui strumentalmente sono stati chiamati dai partiti. Occorre mostrare concretamente che tra la struttura di massa creata dai partiti e i reali interessi proletari non esiste alcuna comunanza. Occorre far vedere che è la lotta stessa, nel suo svilupparsi in forme autorganizzative e autonome, a tracciare un solco preciso tra gli sfruttati in rivolta e le strutture sociali della conservazione.

Si deve cambiare orientamento. Non ci interessa la difesa dei vecchi ruoli sociali (operaio, disoccupato, precario, ecc.), quanto uscire dalla prospettiva del dettaglio già prevista dal sistema, per incentrarsi là dove gli apparati del dominio preparano la modificazione dei rapporti sociali e le strutture tecnologiche atte a esercitare il nuovo controllo.

La difesa specifica dell’interesse sociale minacciato finisce per divenire impotente di fronte alle condizioni di non ritorno che il capitale e lo Stato creano nel loro movimento di autodistruzione parziale del vecchio assetto.

Conclusioni provvisorie

La nostra riflessione deve superare tutti gli ambiti delle ideologie, per far sì che il movimento antinucleare e, più in generale, quello di autoemancipazione proletaria, prendano atto della necessità dell’attacco, qualitativamente diverso, che bisogna portare a tutte le strutture del dominio. Ciò è determinato dal fatto che nell’attuale struttura sociale si sono verificate profonde modificazioni con l’avvento delle tecnologie di base.

Bisogna liberarsi del mito acritico del quantitativo e dello sbocco come necessità di dare luogo a uno scontro tra apparati militari contrapposti. Questo è già avvenuto a livello di simulazione nello spettacolo armato inscenato dai lottarmatisti e dallo Stato.

È nella pratica e nella teoria insurrezionaliste anarchiche che si possono scoprire le ragioni qualitative che spingono verso il cambiamento radicale della società, per cui la necessità dello scontro armato trova, di per sé, la strada per manifestarsi in modo e in tempi molto diversi da quelli prospettati artificialmente dai simulatori dello scontro di classe.

Anche la propaganda armata è uno strumento che è giusto impiegare, ma va posto sullo stesso piano degli altri strumenti che abbiamo a disposizione. Ogni strumento impiegato ha i suoi lati positivi, ma possiede anche i suoi limiti. Questo i rivoluzionari devono metterlo in conto. Quando si va in guerra contro il nemico di classe bisogna attrezzarsi bene e disporsi, se qualcosa va male, a pagarne le conseguenze. Guai ad illudersi che non si posseggono limiti. Si finisce per pagare lo scotto amaramente, come la recente esperienza ci dimostra.

Quando affermiamo la necessità irrinunciabile di attaccare le strutture dello Stato – sia quelle centrali che quelle periferiche –, lo facciamo perché così si attacca la sicurezza dello Stato stesso, rendendo visibile il processo di controllo e di dominio esercitato sulla struttura sociale. Inoltre si ha anche il risultato di evidenziare che lo Stato non dispone di una linea di sviluppo indefinito, ma possiede dei limiti.

Allo stesso modo, attaccare i modi di produzione, di distribuzione e dei servizi del capitale significa ostacolare il suo dominio sui nostri bisogni.

In sostanza, impariamo a conoscere tutti i limiti del processo di ristrutturazione del capitale e dello Stato, al più alto livello di controllo e di comando dei loro apparati, solo inserendoci all’interno dello scontro di classe e cercando di acutizzarne tutte le contraddizioni. Più alta è la tensione sociale, più radicalmente si può spingere la lotta in senso rivoluzionario e insurrezionalista.

In definitiva, siamo convinti che il movimento antinucleare potrà raggiungere posizioni più radicali solo se saprà rifiutare l’azione di difesa di un ordine economico fondato sulla ricerca di fonti alternative di energia, situando il proprio attacco sulla questione sociale. Dove esiste il dominio dell’uomo sull’uomo, occorre attaccare le strutture statali e del capitale. Questo è un modo coerente per dimostrare come esse sono strutture ostili alla vita e al suo libero sviluppo.

Il solo atteggiamento conseguente da tenersi nei confronti delle strutture statali è quello del sabotaggio violento, sia contro di esse che contro le loro procedure di controllo e di programmazione sociale dell’esistente, che riducono gli individui a macchine robotizzate.

Contro le pratiche di lobotomia sociale attuate dallo Stato bisogna rispondere con la pratica dei tentativi insurrezionali.

La lotta antinucleare, se non si fermerà al mito del quantitativo, ma si svilupperà dando il massimo peso agli aspetti qualitativi e creativi, sarà una lotta tesa a scoprire i movimenti possibili di autoliberazione sovversiva nella prospettiva concreta delle effettive potenzialità rivoluzionarie.

Appendice

Un approfondimento della struttura antinucleare di base deve rimandare per forza di cose ai documenti organizzativi di già realizzati riguardo il Movimento autonomo dei ferrovieri del compartimento di Torino, le Leghe di Comiso contro la costruzione della base missilistica, e, infine, le strutture astensioniste zonali.

Di queste iniziative e delle relative analisi si è molto discusso all’interno del movimento anarchico, spesso, comunque, almeno a quanto ci pare, con scarso approfondimento critico da parte di molti compagni che si sono chiusi, a priori, nei riguardi dei problemi che queste strutture organizzative comportano.

Riproponiamo qui, in forma sintetica, le caratteristiche essenziali della struttura di massa di cui stiamo discutendo, i princìpi su cui si basa e i metodi che adotta.

La struttura antinucleare di base è una struttura di massa, cioè prevede la partecipazione della gente con la sola discriminante di condividere il giudizio negativo, radicale e assoluto, contro le centrali nucleari (o le basi missilistiche).

Essa è spinta alla costituzione dall’intervento propagandistico del gruppo anarchico specifico informale che si fa carico di spiegare alla gente la situazione di sfruttamento e di pericolo, di controllo e di militarizzazione che la centrale determina.

La struttura è quindi un’organizzazione autonoma di lotta che non si basa su alcuna burocrazia, non ha regole associative, documenti di costituzione o altro. Essa è diffusa nel territorio ma, nascendo spontaneamente, può anche non avere una sede precisa, per quanto si renda, a volte, necessaria la costituzione di un coordinamento con sede fissa e munito di alcuni degli strumenti essenziali della comunicazione (telefono, ciclostile, ecc.).

La struttura antinucleare di base non è un organismo di difesa di interessi di categoria. Non è quindi un’organizzazione sindacale né intende diventarlo.

I princìpi su cui si basano queste strutture sono essenzialmente tre: la conflittualità permanente, in quanto la lotta deve essere ininterrotta e non saltuaria (cioè legata a occasioni sporadiche); l’autogestione, in quanto le strutture non dipendono da partiti, sindacati, clientele, ecc.; l’attacco, in quanto vengono rifiutate le mediazioni, gli accomodamenti, i sacrifici, i compromessi.

I metodi impiegati dalla struttura antinucleare di base sono quindi fondati sulla costanza dell’attacco e ciò corrisponde con il fatto della pericolosità costante dell’installazione nucleare. Un altro metodo è quello dell’allargamento del fronte di lotta, cercando di coinvolgere tutte le categorie degli sfruttati, superando, cosa non sempre facile, il momento interclassista della semplice “paura” della morte atomica, per arrivare a una corretta analisi di classe della funzione della tecnologia nucleare. Le decisioni, infine, vengono prese dalle diverse strutture antinucleari sulla base assembleare tenendo possibilmente conto della lotta in corso realizzata dalle altre strutture e, in questo senso, può essere utile un coordinamento che metta in rapporto le diverse realtà.

Il funzionamento di queste strutture autonome consente di vedere meglio il ruolo dell’organizzazione specifica anarchica informale e le sue differenziazioni nei riguardi delle altre forme di organizzazione anarchica.

Il dibattito in questo senso è ancora aperto [lo è ancora in pieno 2014] e, come al solito, minaccia di diventare un discorso tra sordi. Speriamo che questo contributo possa rompere il silenzio e contribuire al chiarimento.

Movimento autonomo di base ferrovieri del compartimento di Torino. Organizzazione del nucleo autonomo di base

La situazione attuale è caratterizzata dall’alleanza tra padroni, sindacati e partiti riformisti.

I primi fanno ricorso all’aiuto dei sindacati e dei cosiddetti partiti della sinistra per cercare di continuare lo sfruttamento, trovando il modo di fare pagare la crisi ai lavoratori attraverso un notevole quantitativo di soldi che lo Stato versa agli industriali (riconversione) mettendoli in grado di sopravvivere per qualche anno ancora. Per completare, intervengono i partiti della sinistra (PCI in testa) chiedendo ai lavoratori di sacrificarsi per salvare i padroni e i loro servitori.

La caratteristica attuale dei sindacati e dei partiti riformisti è quindi la collaborazione con i padroni, il loro compito più importante è quello di spegnere le spinte della base, suggerendo sacrifici e condannando i lavoratori disposti a una lotta più dura con le solite calunnie (provocazioni).

In queste condizioni non ci pare più utilizzabile il sindacato come strumento di lotta.

Le tre centrali sindacali SFA, SAUFI e SIUF realizzano la loro collaborazione vendendo la pelle dei ferrovieri all’Azienda, attraverso un chiaro progetto di ristrutturazione, che si realizza in maggior carico di lavoro per gli occupati (aumento della produttività), in meno soldi (blocco e congelamento dei salari), in aumento della disoccupazione.

Questi obiettivi antioperai vengono sostenuti con frasi demagogiche e con la più dura condanna delle iniziative divergenti. In questo modo si vuole far passare la tesi che l’Azienda non può caricarsi aumenti salariali, che per mantenere la produttività deve restare inalterato il numero di ore lavorative, che si deve lottare contro le tendenze al cosiddetto fenomeno dell’assenteismo, che per controllare meglio il lavoratore si deve ristrutturare il processo di qualifica funzionale, la mobilità del lavoro e la professionalità.

È chiaro che si vuole distruggere ogni volontà di lotta, creando una situazione finanziaria insostenibile per i più, donde il ricorso allo straordinario, arma di ricatto da parte di capi e capetti, perfezionata dall’impiego dei meccanismi di selezione che impediscono l’avanzamento a chi non è capace e disciplinato, cioè a chi non si lascia utilizzare e a chi rifiuta il rispetto assoluto ai capi.

Il sindacato autonomo FISAFS sviluppa una lotta che si pone in contrapposizione alle tre centrali maggioritarie e che pretende qualificarsi come autonoma.

La FISAFS tenta di sfruttare la rabbia e il malcontento della base per dimostrare adesioni di massa alla sua linea corporativa e, per molti versi, reazionaria. Il sindacalismo di questa organizzazione cosiddetta autonoma è un ulteriore elemento di ritardo delle reali possibilità di lotta della base che, in questo momento, sono molto forti. L’unico scopo della FISAFS è quindi quello di incanalare i lavoratori in una logica corporativa necessaria all’azienda, ai partiti, al governo e al capitale per perpetuare e consolidare lo sfruttamento.

In questo modo la FISAFS, dovendo tutelare gli interessi padronali, non può impiegare quelle metodologie di lotta che caratterizzano e qualificano l’autonomia dei lavoratori. Le risulta quindi impossibile, sul piano delle alleanze e delle scelte politiche, differenziarsi da quelle organizzazioni sindacali che, con altra visuale politica, si contrappongono alle tre centrali maggioritarie (a esempio, la USFI-CISNAL).

L’ autonomia proletaria vera è la sola soluzione possibile per continuare la lotta contro i padroni e i loro servitori. Per realizzarla occorre cominciare a costruire i Nuclei Autonomi di Base. Questi nuclei, come quello che vogliamo costituire fra i ferrovieri del Compartimento di Torino, se nascono all’interno di una realtà produttiva precisa, devono considerarsi come un punto in costante riferimento con la realtà esterna, intesa in senso globale, coinvolgente il quartiere, la scuola, la campagna.

Partendo da una giusta considerazione dell’autonomia proletaria, si eliminano due pericoli sempre presenti in ogni lotta settoriale e sindacale:

  1. la burocratizzazione della struttura sindacale,

  2. la tendenza corporativa.

Il Nucleo Autonomo di Base si organizza autonomamente da partiti e sindacati, per migliorare e difendere l’esistenza del lavoratore in quanto uomo. La sua prospettiva organizzativa e di lotta tiene conto della duplice necessità di impostare lo scontro al livello della produzione (salario, normativa contrattuale, ecc.) e al livello della vita del singolo lavoratore (rischio sul lavoro, alienazione, necessari collegamenti tra quartiere e posto di lavoro, scuola, ecc.).

L’autonomia è quindi rivalutazione dell’uomo nel lavoratore, con una lotta chiara, diretta a salvaguardare quelle condizioni oggettive che rendono possibile la vita e il lavoro stesso.

A – Caratteristiche del Nucleo Autonomo di Base:
B – Metodi.
C – Prospettive.

In conclusione il Nucleo Autonomo di Base è un organismo di lotta per la difesa dei ferrovieri che intende affermare il principio dell’autonomia della lotta. Per questo nega validità ai sindacati e denuncia la loro collusione col potere.

In base al principio dell’autonomia, il Nucleo Autonomo di Base afferma la necessità della conflittualità permanente all’interno della realtà produttiva e la necessità di esportare le caratteristiche essenziali della lotta verso l’esterno, onde sfuggire alla chiusura corporativa. Gli obiettivi di questa comunicazione all’esterno sono l’utenza e i settori produttivi collaterali.

I metodi necessari alla realizzazione degli scopi di difesa degli interessi della categoria e quindi dell’intera collettività produttiva sono scelti in armonia col principio di autonomia e di conflittualità permanente, restando inteso che l’utilizzo dello sciopero, come arma di lotta, va considerato criticamente, mentre, una grande attenzione va posta nella ricerca di altri mezzi di lotta più efficienti, perché non facilmente controllabili da parte dell’Azienda.

Le prospettive del Nucleo Autonomo di Base sono quelle costanti della rivendicazione salariale e normativa, allo scopo di salvaguardare quel salario reale che è la base per ogni lavoratore.


[Cfr., (A. M. Bonanno), Movimento autonomo di base ferrovieri compartimento di Torino. Organizzazione del nucleo di base, Edizioni MAB, Torino 1977. A. M. Bonanno, Teoria e pratica dell’insurrezione, terza ed., Trieste 2013, pp. 195-203]

Documento organizzativo delle strutture astensioniste zonali

In una moderna democrazia il sistema partecipativo elettorale è alla base del reperimento del consenso. Questo sistema non consiste soltanto nei periodici appelli alle “opinioni” della gente, sollecitate sulla base dei fumosi programmi politici dei partiti, appelli che portano la gran massa dei soggetti a partecipare alle elezioni politiche e amministrative, ma si estende capillarmente a tutta la vita dello Stato democratico.

Nelle fabbriche, nelle scuole, nei quartieri, nelle strutture sanitarie, ecc., esistono meccanismi assembleari che reperiscono il consenso attraverso metodi elettorali.

Lo Stato riesce così a controllare la situazione ricorrendo a piccoli aggiustamenti periodici, controlli e sanatorie che però non fanno altro che continuare lo sfruttamento e le condizioni di sottomissione di tutti gli sfruttati.

La proposta elettorale – a qualsiasi livello – è una specie di richiesta di complicità, per cui una ristretta cricca di potere, legata a interessi politici di partito, può continuare, tramite l’avallo delle votazioni, a fare quello che faceva prima, applicando solo modesti cambiamenti che vengono chiamati riforme.

Negli ultimi anni è apparsa sempre più consistente una fascia di persone che si rifiutano di partecipare alle votazioni. Da un minimo del diciotto per cento nelle elezioni politiche e amministrative, si arriva a un massimo del settanta per cento circa nelle elezioni periferiche (scolastiche, in particolare).

Questo astensionismo indica un disamore sempre più radicato per una pratica che ormai fa vedere chiaramente quali sono le intenzioni di coloro che la mettono in atto.

Ma in quanto tale, cioè in quanto semplice rifiuto di andare a votare, esso è insufficiente.

Occorre fare di più.

Occorre organizzare le strutture astensioniste zonali.

A) – Caratteristiche.
B) – Principi generali.

Conflittualità permanente:

Autogestione:

Attacco:

C) – Metodi.
D) – Prospettive.
E) – Il Coordinamento.
Conclusione.

La struttura astensionista zonale è un organismo di lotta che intende sostituire alle decisioni di vertice le decisioni di base organizzando le forze di massa che sono genericamente contrarie alla partecipazione alle elezioni a qualsiasi livello, parlamentare, amministrativo, consiliare (fabbrica, scuola, quartiere, ecc.).

Essa si fonda sul principio dell’autonomia della lotta e sulla conflittualità permanente. Il metodo che sceglie è quello dell’attacco contro gli organi assembleari che realizzano in pratica l’imbroglio democratico per recuperare il consenso utilizzando quest’ultimo come alibi per la propria egemonia a danno degli sfruttati.


[Cfr., A. M. Bonanno, Teoria e pratica dell’insurrezione, prima ed., Catania 1985, pp. 221-226. “Provocazione”, maggio 1987, n. 5, p. 5. A. M. Bonanno, Movimento e progetto rivoluzionario, seconda ed., Trieste 2013, pp. 345-353].

Documento organizzativo delle Leghe Autogestite di Comiso

La decisione di costruire a Comiso una base per i missili americani Cruise si colloca all’interno degli equilibri politici e militari tra le due grandi superpotenze. La giustificazione che è stata data a questa impresa di morte è che bisogna, con tutti i mezzi, contrapporsi alle basi atomiche russe schierate contro l’Europa.

Di fatto, non è possibile frenare le iniziative criminali dell’Unione Sovietica che, in quanto superpotenza militare, ha tradito gli ideali antimilitaristi del proletariato internazionale, con iniziative altrettanto criminali di quelle prese dagli Stati Uniti e dai loro servitori europei. La crescita delle basi atomiche non difende dagli attacchi di nessuno ma costituisce una grave minaccia per la sopravvivenza di tutto il pianeta. La lotta deve essere diretta a impedire le nuove basi (come quella di Comiso) ma anche a distruggere le basi già esistenti, anche quelle russe e di tutti gli altri Stati.

Comiso è destinata a diventare la più grande base atomica europea, l’inizio della costruzione di altre basi che saranno realizzate in Spagna, Germania, Gran Bretagna e altrove. Se non riusciremo a impedire questo progetto criminale, noi siciliani saremo i primi ad avere la responsabilità di vedere costruita nella nostra terra la più grande centrale di bombe atomiche oggi esistente in Europa.

Questo triste primato si accompagnerà a una serie di altre conseguenze negative che la venuta dell’esercito di occupazione americano (si calcola l’arrivo di 15.000 militari USA) causerà immediatamente. Aumento dei prezzi, circolazione delle droghe pesanti, aumento della prostituzione, militarizzazione del territorio, presenza nelle nostre zone delle organizzazioni mafiose che venderanno agli Americani la droga, che gestiranno il giro della prostituzione, che speculeranno sugli appalti. Tutto ciò farà aumentare le violenze e le relative restrizioni delle libertà individuali (controlli, posti di blocco, zone militarizzate, ecc.).

Il Partito socialista si è dimostrato un vero servitore degli interessi americani, accettando l’imposizione USA e approvando con il suo ministro Lagorio l’ordine di costruire la base in Sicilia. La Democrazia Cristiana si è subito data da fare per gestire, a livello mafioso, gli appalti di costruzione degli alberghi, delle case, dei ristoranti che saranno necessari agli Americani e anche di tutti gli appalti per costruire la base stessa.

Il Partito comunista ha dato inefficaci e saltuarie indicazioni di lotta, dimostrandosi indeciso, debole e inefficiente. Le marce (anche di centomila persone), le raccolte di firme, gli scioperi della fame non impressionano più.

La lotta contro la costruzione della base missilistica di Comiso ha bisogno di altri mezzi e di altri metodi.

Per questo motivo si devono organizzare le Leghe autogestite.

A – Caratteristiche della Lega.
B – Princìpi generali.
C – Metodi.

L’impegno dei padroni e dei criminali americani è costante. Essi non si danno soste. Intendono realizzare in breve tempo il loro progetto di morte. La loro azione si allarga contro di noi in mille modi: con la disoccupazione, con l’aumento dei prezzi, con le intimidazioni e con la repressione. Domani – se la base dovesse essere costruita – questa repressione raggiungerebbe il massimo dell’insopportabilità e ci verrebbe tolta anche la libertà di pensare. A repressione costante la conflittualità permanente.

Tutte le categorie del lavoro sono interessate a impedire la costruzione della base. Le categorie meno abbienti, ma anche quelle che stanno un po’ meglio: anche i bottegai, che se possono pensare di incassare qualcosa di più con l’arrivo degli Americani, devono pure mettere in conto il racket mafioso delle estorsioni che si organizzerà a loro spese nella zona. Anche i contadini che sono sotto la minaccia delle espropriazioni e che vogliono destinare a un uso produttivo le terre. L’altro metodo che le Leghe impiegano è quindi l’allargamento del fronte di lotta.

La controinformazione sulla situazione reale a Comiso è un ulteriore metodo di lotta. Manifesti, volantini, giornali, radio, televisione, ecc., tutti questi strumenti devono essere indirizzati non soltanto verso gli abitanti della zona ma anche verso tutta la Sicilia, l’Italia e il mondo intero. Oggi Comiso e il problema della base sono al centro dell’attenzione mondiale. Sviluppando questa attenzione è possibile vincere con la nostra lotta i criminali e i loro servitori. Ma questa gestione dell’informazione deve essere autonoma, cioè deve essere contro il racket dell’informazione di cui un grosso esempio, proprio nella zona, è dato dal giornale “La Sicilia” e dai pennivendoli al suo servizio.

Raggiungere gli strati che restano fuori della conoscenza del problema: le donne proletarie, le casalinghe, i bambini, i vecchi. Tutti costoro hanno il diritto di sapere il grave pericolo che corrono ed è giusto che possano portare il proprio contributo alla lotta sociale che si svilupperà contro la costruzione della base.

Accettare gli equivoci delle chiacchiere, dell’attesa, delle promesse del potere, significa dare più tempo ai criminali per realizzare il loro progetto. Dobbiamo scegliere il metodo dell’intervento immediato e non rinviare all’infinito quello che va fatto subito.

Non dimentichiamo che per essere costruita, la base di Comiso necessita della nostra accettazione, dell’accettazione di coloro che vi lavoreranno, che consentiranno il passaggio dei materiali, che lavoreranno nelle aziende che produrranno i materiali con cui si costruirà la base. Bisogna quindi allargare il campo della lotta, farvi partecipare anche i lavoratori di queste aziende, perché con i loro scioperi e i loro ostacoli ritardino prima e impediscano dopo la costruzione.

Il metodo che le Leghe ritengono definitivo, tale da impedire realmente la costruzione della base, è la sua occupazione. Ma questa occupazione deve essere una decisione cosciente presa dalle Leghe e realizzata con tutti i mezzi che saranno necessari, al momento opportuno. Dobbiamo rispondere all’incoscienza e alla criminalità degli imperialisti americani e dei loro servitori nostrani con una grande responsabilità e una altrettanto grande decisione.

Ogni singola Lega si riunisce quando e come crede, con la periodicità che ritiene opportuna e nel luogo che meglio si addice alla sua struttura e alla sua collocazione. Le iniziative prese – se lo si ritiene necessario – vengono fatte conoscere alle altre Leghe tramite il Coordinamento che, allo scopo, redige un bollettino periodico, dove trovano posto le decisioni delle singole Leghe.

Periodicamente si riuniranno a Comiso, in un locale da destinarsi, i rappresentanti di tutte le Leghe per un dibattito e per uno scambio di prospettive.

Il primo compito di ogni Lega è l’intervento verso l’esterno per realizzare la propria crescita quantitativa.

La Lega è un’organizzazione di massa, quindi, in quanto tale, può assumere la forma di Lega di settore (Lega di braccianti, di contadini, di bottegai, di studenti, di operai, di camionisti, di professori, ecc.), oppure la forma di Lega intersettoriale (Lega di città, di paese, di frazione, di quartiere, di zona, di interzona, ecc.).

La scelta della lotta da condurre viene periodicamente decisa nelle singole Leghe dalle riunioni assembleari. Nell’assemblea dei rappresentanti delle Leghe si prendono poi le decisioni più importanti.

D – Prospettive.
E – Il Coordinamento.

In conclusione, la Lega autogestita è un organismo di lotta per impedire la costruzione della base missilistica di Comiso. Essa si fonda sul principio dell’autonomia della lotta e sulla conflittualità permanente. Il metodo che sceglie è quello dell’attacco contro la costruzione della base e contro gli interessi di coloro che la stanno realizzando.

Spetta all’assemblea delle Leghe la decisione di dare indicazioni precise di lotta e di fissare i metodi e i tempi di quanto necessario per impedire la costruzione della base missilistica di Comiso.


[Cfr., A. M. Bonanno, Documento organizzativo delle leghe autogestite, Catania ottobre 1982. (A. M. Bonanno), “Umanità Nova” del 24 ottobre 1982, p. 5. A. M. Bonanno, Teoria e pratica dell’insurrezione, terza ed., Trieste 2013, pp. 246-253]


Opuscoli provvisori n. 62
Prima edizione: giugno 1986
Seconda edizione: maggio 2015